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domenica 7 novembre 2021

IL MAESTRO

 

Quando lo vedemmo la prima volta, ne fummo tutti intimoriti. Non che fossimo dei novellini, quello era già il nostro quinto anno di scuola e, negli anni trascorsi, avevamo avuto quattro diversi insegnanti. Cambiare maestro era divenuta di conseguenza per noi faccenda assai consueta. Al di fuori di qualche piccolo contrattempo nel corso del primo anno (la maestra assegnata per il nostro esordio scolastico era persona con evidenti e manifesti problemi di equilibrio psichico), gli anni successivi erano filati lisci, allietati da maestre serene e pacifiche e con spiccate doti materne. Adesso, invece, ci trovavamo di fronte quell'uomo dall'aria severa e provvisto di minacciosa barba nera. In realtà il Maestro era un ragazzo di poco più di venticinque anni, impegnato in una delle sue prime esperienze di insegnamento; ma noi lo percepimmo, da subito, come persona molto adulta. In fondo noi non eravamo che bambini.
La nostra era una piccola scuola di campagna, frequentata per lo più da figli di contadini e operai. Cinque classi e cinque aule in un grazioso edificio di inizio secolo. Non c'era la palestra, naturalmente, ma soltanto un minuscolo cortile ricoperto di ghiaia, utilizzato per la ricreazione.
Il Maestro vestiva maglie dolcevita, pantaloni dal taglio antico, grosse scarpe, e sfoggiava una inusitata risolutezza, rara in una persona così giovane. La sua voce, dal timbro grave e sicuro, riusciva nello stesso tempo a mettere soggezione e a calamitare all'estremo la nostra attenzione. Era ipnotica. Il suo metodo di insegnamento era moderno e innovativo. Rispettava i programmi scolastici desueti del tempo, insistendo molto sull'apprendimento dell'aritmetica e della buona e corretta scrittura, tuttavia dedicava quantità rilevanti di tempo anche ad altri aspetti della nostra educazione didattica. Il suo scopo principale era quello di allargare la nostra conoscenza del mondo. A tale proposito ogni giorno si presentava in classe con almeno due quotidiani, uno dei quali era sempre la sua prediletta Unità. Intendiamoci, all'epoca il giornale fondato da Antonio Gramsci era un quotidiano con i fiocchi, che dedicava ampio spazio, oltre che alla politica interna, agli avvenimenti internazionali. D'accordo, era pure un foglio di partito, ma a noi quell'aspetto interessava poco. Non così fu per alcuni dei nostri genitori. Ci furono delle rimostranze.. Non si riteneva giusto che tali letture venissero sottoposte a ragazzini. Il Maestro, di fronte a tali proteste, non batté ciglio. Non si scompose neppure quando qualcuno minacciò di rivolgersi alle autorità scolastiche. Alla fine non se ne fece nulla e fu una fortuna. Continuammo a sfogliare e leggere i giornali che ci proponeva il Maestro, compresa la discussa Unità, e tale attività rivestì un ruolo di rilievo nella nostra preparazione, che ci consentì poi di frequentare le scuole medie senza il minimo affanno. Era pure interessante e sorprendente, ai nostri occhi di bamboccetti, l'atteggiamento del Maestro nei confronti dell'insegnamento della religione. Quando, una volta la settimana, veniva in classe il vecchio don Felice per la sua lezione di religione, il Maestro lo salutava con gentilezza e rispetto e poi usciva dall'aula, per tornare soltanto quando il prevosto aveva terminato.
Quelli erano gli anni della guerra del Vietnam, e in quel bellissimo e appagante anno scolastico noi, attraverso le notizie dei giornali, ne avevamo seguito il tragico svolgimento in maniera attenta. Un giorno di primavera il Maestro richiamò la nostra attenzione. Disse che aveva per noi una sorpresa: l'indomani avrebbe portato in classe una sua amica, una famosa giornalista che era stata inviata di guerra per un giornale milanese che ben conoscevamo. Poi, serissimo come sapeva essere lui, aggiunse che avremmo dovuto preparare delle domande da rivolgere alla giornalista, e il tema era proprio il Vietnam, perché quella donna la guerra l'aveva seguita proprio sul campo, e sarebbe stata in grado di soddisfare tutte le nostre curiosità. Ma che le domande fossero precise, interessanti e ben pertinenti, disse ancora, altrimenti gli avremmo fatto fare brutta figura. Concluse dicendo che aveva parlato molto bene di noi alla sua amica. Il giorno successivo tutti noi eravamo molto emozionati. Il Maestro arrivò in classe accompagnato da una donna molto bella, che dimostrava meno dei suoi quarant'anni, vestita in maniera sportiva, con la fronte spaziosa e capelli lunghi e lisci. La giornalista ci donò, per la biblioteca di classe, alcune copie di due suoi libri. Uno parlava del periodo di tempo che lei aveva trascorso alla base americana di Cape Canaveral, insieme agli astronauti che in quel periodo si preparavano per dare l'assalto alla Luna. L'altro era il resoconto della sua esperienza in Vietnam. E fu di questo che ci parlò, sollecitata dalle nostre domande e dai puntuali interventi del Maestro. In conclusione ci raccontò anche di quando era stata ferita, un paio di anni prima, in una sparatoria avvenuta a Città del Messico, (e non in Vietnam!) quando la polizia aveva aperto il fuoco contro gli studenti che manifestavano. Insomma, quella fu per noi una giornata memorabile. Quella giornalista, a noi allora sconosciuta, era Oriana Fallaci.
Il Maestro, nel seguito della sua vita, ha fatto una meritata carriera. Già l'anno successivo all'esperienza con la nostra classe ottenne una cattedra alla scuola media. Nel corso degli anni è diventato docente universitario, importante filologo e critico letterario, nonché apprezzabile storico della lingua italiana, collaboratore di diverse riviste e quotidiani, curatore di rilevanti progetti editoriali.
Qualche anno fa gli ho scritto una mail, alla quale lui ha prontamente risposto. Si ricordava perfettamente l'esperienza giovanile nella piccola scuola di campagna. Rammentava ancora i nomi di alcuni miei compagni di classe, in particolare quelli dei ragazzi più problematici, dei quali mi ha chiesto notizie.
È raro che un semplice insegnante elementare rivesta un ruolo così fondamentale nella formazione educativa e culturale di una persona, di un ragazzino. Per me è stato così e ancora oggi ringrazio il mio Maestro dalla barba nera.

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