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domenica 21 giugno 2020

RODOMONTE



A scuola disse alla maestra che non doveva permettersi di dargli un brutto voto. I suoi genitori gliela avrebbero fatta pagare. Suo padre era un conte e sua madre una contessa: una famiglia potente, di quelle che avevano una grande influenza. Sua madre in realtà era una donna che svolgeva dei lavori a ore nelle case dei ricchi, il padre era scappato subito dopo che lei era rimasta incinta.
E bravo rodomonte!
Disse alla fidanzata che lui era l'erede di una grande dinastia di imprenditori. I suoi genitori erano miliardari, le fabbriche di cavatappi della sua famiglia erano sparse in tutto il mondo. Così come le loro ville. Disse che un giorno quell'impero sarebbe stato suo, aggiunse che l'avrebbe condiviso con lei, la sua regina. La ragazza non si accertò neppure se tutte quelle millanterie fossero vere oppure no. Scappò subito.
Davvero un bel rodomonte!
Raccontò agli amici che era stato promosso direttore generale dell'azienda in cui lavorava. Finalmente si erano accorti di lui e delle sue grandi capacità manageriali. Avrebbe rivoluzionato tutta l'organizzazione del lavoro, gli utili sarebbero decuplicati, così come il suo stipendio. Per non parlare dei premi!
In verità proprio il giorno prima era stato licenziato per scarso rendimento. Era operaio.
Complimenti, rodomonte!
Ai tempi dell'epidemia disse che lui del virus se ne strafotteva. Lo disse al bar, davanti a tutti. Dopo due giorni disse che manifestava i sintomi del male. Nessuno gli credette, anche se tutti per prudenza si scostarono da lui. Lo invitarono ad andare a casa e a mettersi in quarantena. Quarantena? Mi bastano due giorni per sconfiggere questo porco! Io lo ammazzo subito!
Per un mese nessuno lo vide. Poi lo trovarono in casa, morto, sconfitto dal virus.
Povero rodomonte!

sabato 20 giugno 2020

COME PUO' UN BUE AVERE UNA VOCE COSI' SOTTILE?



Al giovane Adamo piaceva, più di ogni altra cosa al mondo, fare scherzi al telefono.
Si trattava quasi sempre di innocue burle, a volte anche assai stupide.
Un esempio: "Pronto, è il signor Cuzzo?"
L'interlocutore "No, sono il signor Cozzo".
Adamo: "Oh cazzo! Ho sbagliato numero!" La vittima chiude la telefonata.
Insomma, cose così, roba da poco.
Ma Adamo amava praticare anche un altro tipo di beffa: telefonare a un malcapitato a caso imitando voci strane.
Ecco, tipo questa (fatta con voce profonda e cavernosa): "Pronto, sono un bue!"
Un attimo di silenzio dall'altra parte, poi: "Mi dispiace, ma non è possibile".
"Che cosa non è possibile? Mi dica! Mi dica!" (con tonalità, se possibile, ancora più bassa e grave).
"Vede, non è proprio possibile che lei sia un bue".
"Ma perché? Come osa mettere in dubbio ciò che dico?" (lo scherzo sta diventando divertente).
"Perché lei non è come Giorgio".
"Giorgio! E chi sarebbe questo Giorgio?"
"Era il bue di mio nonno, ed era mio amico".
"Eh?"
"È stato un mio grande amico".
"E parlava?"
"Sì, proprio come sta facendo lei, anche se lei non è un bue".
"Non ci credo".
"Anche mio padre non ci credeva. Quando glielo dissi - ero ancora un bambino - mi diede un ceffone e mi ordinò di non dire mai più una cosa del genere. Mio nonno, invece, sapeva che Giorgio parlava, ma non lo ammise mai apertamente. Tra l'altro lui era un tipo di poche parole, a differenza del suo bue, che invece amava molto ciarlare".
"Ma senti! E di che cosa discorreva con il bue, quel tale Giorgio, di politica e di economia?"
"Ma no! Giorgio era un tipo semplice, amava parlare soprattutto della sua attività, del lavoro nei campi, delle semine, del ciclo delle stagioni, del tempo atmosferico"
"Lei mi sta prendendo in giro"(la voce di Adamo è molto meno grave, ora).
"No, è lei che mi sta prendendo in giro, dicendo di essere un bue mentre non lo è".
"E come fa a sapere che io non sono un bue, dal momento che i buoi parlano? Vero che parlano?"
"Giorgio diceva che tutti buoi possiedono il dono della parola, anche se soltanto pochi tra loro amano farsi sentire. In ogni caso le confermo che lei non è un bue".
"Ma perché?"
"La voce. La voce dei buoi, di tutti i buoi, è molto sottile e acuta. Lo so che può sembrare strano, in esseri dai corpi così grandi, ma le assicuro che è così. Lei non è un bue".
"Sottile? Molto sottile dice?" Poi Adamo riattacca. É la prima volta che capita a lui di farlo per primo, e non alla vittima dello scherzo telefonico.

sabato 13 giugno 2020

SU LA MASCHERA


Uscire di casa oppure no? Decise di uscire. Certo, era una bella seccatura dovere mettere la mascherina. La indossò con cura, coprendo bene anche il naso, non come quelli che lo lasciavano esposto. Inutile indossare le mutande se poi si lascia il pisello al vento, ragionò.
Fuori c'era un sacco di gente. Pensò che cosa poteva fare ma non gli venne in mente nulla. Poi vide la banca. Si rese conto che non era più necessario prenotare per potervi accedere. Entrò e, con sorpresa, vide che non c'era nessuno. Quale operazione poteva eseguire? Si ricordò che non aveva più contanti, allora optò per prelevare. Si aggiustò bene la mascherina, si avvicinò all'unico sportello aperto, estrasse la grossa pistola e disse, anzi bofonchiò per via della mascherina, al cassiere: "Questo è un prelievo, dammi tutti i soldi oppure ti spazzolo il ciuffo!"
Il cassiere, che forse si spaventò anche se non ne  siamo sicuri a causa della mascherina che impediva di scorgerne l'espressione, ubbidì.
Afferrò il denaro, lo infilò nella borsa che di solito utilizzava per la spesa, e uscì dalla banca. Si infilò negli stretti vicoli del centro storico, camminando tranquillo, e sparì.
Quando, più tardi, i carabinieri interrogano il cassiere, lui disse: "Era un tipo abbastanza alto, e indossava una mascherina".
Il milite, che indossava una mascherina scura, annuì e prese nota. Un uomo alto con la mascherina, rifletté: sembrava davvero un buon indizio.

lunedì 1 giugno 2020

LARGO AI GIOVANI


Domani avrò quarant’anni. Darò così addio alla gioventù e diventerò un vecchio.
Oggi è stato il mio ultimo giorno di lavoro. Questa mattina sono uscito da casa presto, come ho sempre fatto per tanti anni, per arrivare puntuale in ufficio. Ho svolto le mie abituali incombenze con efficienza, professionalità e precisione. Poi, al termine della giornata, ho salutato i colleghi per l’ultima volta. Sia quelli ormai prossimi alla pensione che quelli giovani. Alcuni di questi ultimi hanno appena vent’anni, di fronte a loro c’è un’intera vita lavorativa. Il tempo, tuttavia, trascorrerà in fretta e ben presto si troveranno nella mia condizione attuale. Di colpo saranno vecchi.
Mi aggiro frastornato tra le pareti della mia abitazione. Un piccolo appartamento nel quale ho vissuto a lungo e al quale devo dire addio. Nei giorni scorsi ho già raccolto la mia roba e l’ho sistemata in alcune valigie e in due grossi sacchi di plastica neri. I vestiti, alcuni libri, vari insignificanti oggetti che per me però rappresentano un ricordo, la maniera per rievocare attimi felici della mia esistenza. Da domani non abiterò più qui, sarò trasferito.
Mi lascio cadere sulla mia poltrona preferita, che ovviamente non potrò portare con me, e rifletto.
Considero che in passato le persone anziane godevano di autorità e rispetto. I vecchi erano i depositari del sapere e della saggezza. Adesso sono considerati gli elementi deboli della società, privati di ogni autorevolezza, e condannati senza appello all’emarginazione. Superata una certa soglia d’età, uomini e donne sono ritenuti non più in grado di sostenere i ritmi frenetici e competitivi del mondo del lavoro. Non più all’altezza della vita di tutti i giorni, dei suoi numerosi obblighi sociali. La conseguenza drammatica è il subentrare in questi individui di uno stato di frustrazione che conduce a una inevitabile crisi di identità. Gli esseri umani più attempati all’improvviso non sanno più quale sia il loro ruolo, da quel momento in poi la loro unica missione è quella di sopravvivere.
Fino a poco tempo fa non era così. Il prolungarsi, sempre più, della vita umana aveva comportato l’adozione di una scelta che ora appare scriteriata: l’innalzamento senza limiti dell’età della pensione. A un certo punto tutti i posti di vertice nell’industria, nella finanza e nelle istituzioni erano occupati da arzilli ottuagenari che non avevano alcuna intenzione di farsi da parte per favorire il ricambio. Così come in fabbrica gli operai con più di cinquant’anni di lavoro alle spalle rappresentavano la norma e non l’eccezione. Poi c’è stata la ribellione dei giovani, e sappiamo com’è andata a finire. D’altra parte era inevitabile che ciò accadesse. C’è stata una brusca inversione di tendenza, e tutto è stato rimesso in gioco, in virtù di quella pressione esercitata dalle masse giovanili esasperate che per poco non è sfociata in terribile violenza. Il processo, in ogni caso, è stato governato. Le misure attuate per rimediare agli errori del passato si sono però rivelate, a mio avviso, troppo drastiche. Io ne sono una vittima. Seguo con attenzione, ancora oggi, la battaglia di un piccolo movimento in cui mi riconosco affinché ci sia un ripensamento e l’età di quiescenza sia di nuovo aumentata, sebbene di poco. Per me, comunque, è ormai troppo tardi.
Domani non dovrò preoccuparmi di nulla. Aspetterò finché non mi verranno a prendere, con il furgoncino della Casa Protetta, e mi condurranno nella mia nuova abitazione, una stanzetta che dovrò condividere con un altro vecchio come me. In quel posto troverò tutto ciò che mi serve. Ci sarà il bar, dove avrò diritto a due consumazioni giornaliere, e anche il cinema. Avrò la possibilità di giocare a bocce e a carte, potrò trascorrere lunghe ore a pescare nel laghetto. Non mi toccherà preoccuparmi dei pasti, dei vestiti e della pulizia della camera. Naturalmente non potrò uscire dal perimetro della Casa, né disporrò di denaro, che comunque sarebbe del tutto inutile. Insomma, godrò di parecchi privilegi.
Il mio nuovo status purtroppo comporterà anche delle rinunce, alcune delle quali assai dolorose.
Innanzitutto non potrò più avere figli. Sarò sottoposto a un piccolo intervento chirurgico che mi renderà per sempre sterile. È ormai dimostrato che i nati da genitori troppo anziani hanno problemi di inserimento nell’attuale tessuto sociale. Io di figli non ne ho, e dunque non sarò mai genitore. L’esistenza frenetica che ho condotto nella prima parte della mia vita mi ha sempre impedito di incontrare la persona adatta con la quale poter formare una famiglia, non ho mai avuto la possibilità di fare dei progetti. Un giorno dopo l’altro sono invecchiato, e adesso è inutile abbandonarsi al rimpianto.
Tra le altre cose che perderò passando all’età senile c’è il diritto di voto. Gli anziani non possono intervenire nella vita pubblica, non hanno la prerogativa di esprimere le loro idee politiche attraverso la partecipazione al processo elettorale. La pratica degli affari collettivi è materia esclusiva dei giovani. Noi vecchi non abbiamo interesse, e necessità, che qualcosa cambi. Insomma, che ci sia un rinnovamento, perché nulla ci riguarda più. La nostra vita, dal momento in cui entriamo nella Casa, è tutta pianificata, regolata fin nelle sue minime sfaccettature. Dobbiamo pensare soltanto al riposo, poiché il nostro contributo alla società è ormai esaurito. Un periodo di ristoro e di sollievo che potrà durare anche parecchi decenni, durante il quale correremo il rischio di morire di noia, ma al quale poco per volta ci abitueremo. Diventeremo consapevoli della nostra inutilità, perché nessuno ci starà a sentire, nessuno verrà a chiedere un nostro parere. Dovremo invece pensare a rilassarci, a vivere giornate tutte uguali ma serene e tranquille, ad aver cura del nostro corpo e, impresa alquanto più impegnativa, della nostra mente. Lentamente tutte le scorie e le tossine accumulate negli anni di faticoso lavoro saranno espulse, ci trasformeremo così in esseri nuovi, distaccati dalle cose materiali, dalla lotta quotidiana, liberi dall’ambizione, non più schiavi dei sentimenti, mondati da ogni bruttura.
Domani inizierà la mia nuova vita. Vivrò fino alla fine circondato soltanto da gente della mia età o più anziana. Non avrò più alcun contatto con le nuove generazioni, che si succederanno in un processo naturale del quale non avrò percezione.
Ed è proprio questo l’aspetto positivo della mia nuova qualità di vecchio. Quello che più mi appaga e più mi gratifica: non vedrò più persone giovani, non avrò più alcun contatto con loro, nessun tipo di rapporto. E questo è un bene, perché io i giovani li odio.