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venerdì 4 dicembre 2020

IL MIO AMICO BILLY

 



Niente da dire, io al mio amico Billy ci sono proprio attaccato. Se, quand’ero bamboccio, ci fossi già stato amico, non avrei avuto problemi a fare quel tema che la maestra coi baffetti ci dava sempre a inizio anno: “Parla del tuo migliore amico”. Invece nisba. Primo perché io di amici non ne avevo, secondo perché non sapevo scrivere una cippa. Poi è arrivato Billy. Mi ricordo quando il direttore, che tutte le volte che entrava in classe ci cagavamo, ce lo ha presentato. Perché era nuovo, il bamboccetto biondo. Alla fine lo hanno fatto sedere proprio vicino a me, dal momento che nel banco stavo da solo. Intendiamoci, non che fossi isolato perché facevo odore o robe simili. No, ero considerato da tutti un po’ fuori centro. Insomma, una specie di piccolo teppista. Fumavo già e dicevo un sacco di parolacce, e poi mi piaceva rubacchiare un po’ di cose ai miei compagni e se c’era da menare le mani sicuro che non mi tiravo indietro. Invece con Billy sono andato subito d’accordo. Ho capito all’istante che lui era un tipo un po’ particolare, di quelli giusti insomma, anche se allora non ne sapevo il motivo. Sì, ci siamo subito presi e siamo diventati inseparabili, anche se eravamo tanto differenti: lui alto e biondo e tutto pulitino, il sottoscritto piccolo e nero e un vero bastardo. Io lo difendevo quando gli altri vigliacchi lo volevano riempire di botte, lui mi insegnava tante cose, perché quello ha la mente fina, credetemi. Dirò la verità: da principio mica lo chiamavo Billy, perché il suo vero nome è Guglielmo. Ma io mi vergognavo un po’ a pronunciare quel nome. Mi sembrava che sulla mia bocca non ci stava molto bene. E gli dicevo sempre ehi tu! oppure ’scolta!, tanto che alla fine si è smarronato e m’ha detto: perché non mi chiami Billy che tanto Guglielmo non piace neppure a me che è tanto roboante. Mica sapevo cosa voleva dire quel parolone, lui ne usava talmente tanti!, però gli ho detto: va bene d’accordo da adesso ti chiamo Billy. E così è stato. Poi, quando oramai eravamo davvero amici per la pelle, mi ha confidato di essere nato in Svizzera. Cioè, per la verità lui non ha proprio detto nato ma concepito. Un altro parolone dei suoi che mica sapevo il significato. Non ho chiesto spiegazioni e neppure sono andato a cercare sul vocabolario, perché quello l’avevo dato via in cambio di una pistola ad aria compressa. Però ci ho ragionato su e alla fine ho capito che concepire vuol dire quando un uomo e una donna scopano e lei ci rimane. Si vede che i genitori di Billy preferivano trombare in Svizzera piuttosto che qua da noi. Magari è più comodo farlo lì, mi sono detto allora; ma poi dopo ho capito, appena mi sono sbambocciato un po’. Sempre insieme, io e Billy, anche se eravamo mica d’accordo su tutto. Ma quelli come lui sono diversi, si capisce. Prediamo il pallone, per esempio. Io naturalmente tenevo ai gobbi e mi piaceva andare allo stadio. Anche a Billy ci piaceva venire, ma mentre guardava la partita storceva sempre un po’ il naso. Il pallone nostrano è tutta una merdata, diceva. Lui teneva al Real Madrid, di quei cagoni con la maglia a strisce non gliene fregava una sega. La squadra del Re! E poi principiava a sparare nomi come Puskas o Di Stefano che diceva erano stati i migliori giocatori del mondo mentre a me mi sembrava che quei tiracalci erano già pure morti. Ma questo non glielo dicevo. A ogni modo ci piaceva pure giocare, al pallone, perché giocare era meglio che guardare e poi, dico la verità, allo stadio io preferivo stare dietro agli ultrà che si mazzolavano piuttosto che a quei fighetti di calciatori. Billy comunque era un buon giocatore, elegante anche se un po’ mammoletta, mentre io randellavo come un pazzo. Avevo cambiato la pistola con un paio di scarpe da pallone usate, quelle con i tacchetti di ferro. Un po’ corte che mi riducevano tutte le unghie nere, ma che erano molto efficaci. Se qualcuno faceva un fallo a Billy io a quello ci andavo dietro finché non riuscivo a piantargli i tacchetti sulla caviglia e il coglione urlava come un porco quando lo sgozzano e se ne usciva dal campo su una gamba sola. Guai a toccare il mio amico! Sempre insieme, io e Billy, tanto che qualche bastardo diceva che eravamo invertiti. Per la verità a me girano un po’ le balle a dire questa parola perché mi pare che sia molto meglio dire frocio, che tutti capiscono subito, ma adesso Billy non vuole che si dica frocio perché non è politicamente corretto, dice lui. Eccheccazzo c’entra la politica coi pigliainculo, gli chiedo: e lui ride. Eppure non c’è niente da fare, si deve fare così e basta, cosa dice il mio amico è legge. Quelli come lui sono così, non si discute. E poi che invertiti e invertiti! Sia a me che a Billy le ragazze ci piacciono eccome! Io da parte mia, o di riffa o di raffa, qualche volta riesco pure a inzuppare. Lui invece, sia perché è più raffinato e di cesse non vuol sentire parlare, sia perché è più timido, con le passerotte arranca che pare un disperato e non quaglia mai. Allora cerco di aiutarlo come posso, ma spesso combino casini. Capitato così con la brunetta del bar Cristallo. Billy ne era proprio infognato perso, ma quella zoccoletta non ne voleva proprio sapere. A lei fanno sangue i veri uomini, manda a dire, non i fighettini come il mio amico Billy. Quanto si sbaglia, la finta verginella! Non sa che lui è peggio di un toro. Quattro e quattr’otto glielo sono andato a dire. Provare per credere, ho fatto a quella schifiltosa. Da quando ha saputo del mio traffico, Billy si rifiuta di entrare in quel bar. Eppure, vi dico, era quasi fatta. Garantito. Il mio amico Billy è figlio unico. Mi ha detto che i suoi vecchi hanno dovuto faccendare parecchio per metterlo in cantiere. Cosa vai a pensare? mi ha detto, vedendo che mi luccicavano gli occhi all’idea di quei due che ci davano dentro di continuo, giorno e notte e mattino e sera. Poi mi ha spiegato e allora ho capito tante cose. Stavo quasi per chiedergli scusa ma poi non l’ho fatto, tanto so che mi conosce e che mi vuole bene lo stesso. Quindi, ricapitolando, fratelli e sorelle per Billy neanche a parlarne. A me è capitato il contrario; a casa nostra la nidiata era bella numerosa. Ho passato l’infanzia circondato da smorfiosette e rompicoglioni di tutte le taglie. Per forza ho dovuto imparare a fare a botte! Billy invidia la mia famiglia così numerosa, e dice che tutti devono avere il diritto di poter avere dei figli, in un modo o nell’altro, costi quel che costi, ed è perfino favorevole alle adozioni per le coppie di fai-di-dietro o di lecca-lecca. Caro socio, qua siamo mica tanto d’accordo, ma questo me lo tengo per me. Sempre insieme, io e Billy, e intanto, a forza di mangiare schifezze, siamo cresciuti. Io la scuola l’ho mollata subito, mica volevo ritrovarmi con il culo quadro. Tanto da quegli stronzetti di insegnanti ho imparato zero. Adesso faccio l’idraulico. Spieghiamoci: in verità faccio solo l’apprendista, porto gli attrezzi e mi occupo dei lavori sporchi, perché fare l’idraulico è mica solo rose e fiori, a volte c’è di mezzo pure la merda. Però se si riesce a ingranare con ’sto mestiere poi si guadagna bene. E si entra nelle case dove ci sono le madamine da sole con indosso la vestaglia e niente sotto. Hanno una voglia, quelle! Il mio principale, panzone e imbranato, non ci combina mai niente. Ma aspettate che il sottoscritto entri in azione da solo e poi vedrete quante ne castigo! Il mio amico Billy invece ha continuato a studiare. Quelli come lui non possono che studiare. Fa economia e ha quasi finito. Dice che poi piacerebbe anche a lui fare l’idraulico oppure il falegname o quelle robe lì. Chi lo capisce quello? Se ne potrebbe stare con le mani in mano, zampe pulite oltretutto, e invece se le vuole lordare. È proprio strano il mio amico, ma io so il perché. Lui è diverso, è diverso perché è stato concepito dentro una provetta. Ma a me non importa, perché al mio amico Billy ci sono davvero attaccato.

sabato 12 settembre 2020

PRESO!


 

In questi giorni, proprio in concomitanza con il Tour de France, si sta svolgendo in Italia la Tirreno-Adriatico, o corsa dei Due Mari, importante gara ciclistica a tappe. Nella giornata di ieri era in programma una frazione molto impegnativa, che è stata caratterizzata da una lunga fuga, e che ha avuto tra i principali protagonisti il corridore eritreo Amanuel Gebreigzabhier Egerzeigzaarhka. Il corridore nero è scappato, prima insieme con alcuni compagni, poi da solo, e per lungo tempo il gruppo lo ha inseguito. Immaginate: un uomo di colore che fugge, rincorso e braccato da un branco di bianchi assatanati. E alla fine, purtroppo, lo hanno preso. Nota positiva, che ci deve rallegrare: non gli hanno fatto niente.

 


domenica 21 giugno 2020

RODOMONTE



A scuola disse alla maestra che non doveva permettersi di dargli un brutto voto. I suoi genitori gliela avrebbero fatta pagare. Suo padre era un conte e sua madre una contessa: una famiglia potente, di quelle che avevano una grande influenza. Sua madre in realtà era una donna che svolgeva dei lavori a ore nelle case dei ricchi, il padre era scappato subito dopo che lei era rimasta incinta.
E bravo rodomonte!
Disse alla fidanzata che lui era l'erede di una grande dinastia di imprenditori. I suoi genitori erano miliardari, le fabbriche di cavatappi della sua famiglia erano sparse in tutto il mondo. Così come le loro ville. Disse che un giorno quell'impero sarebbe stato suo, aggiunse che l'avrebbe condiviso con lei, la sua regina. La ragazza non si accertò neppure se tutte quelle millanterie fossero vere oppure no. Scappò subito.
Davvero un bel rodomonte!
Raccontò agli amici che era stato promosso direttore generale dell'azienda in cui lavorava. Finalmente si erano accorti di lui e delle sue grandi capacità manageriali. Avrebbe rivoluzionato tutta l'organizzazione del lavoro, gli utili sarebbero decuplicati, così come il suo stipendio. Per non parlare dei premi!
In verità proprio il giorno prima era stato licenziato per scarso rendimento. Era operaio.
Complimenti, rodomonte!
Ai tempi dell'epidemia disse che lui del virus se ne strafotteva. Lo disse al bar, davanti a tutti. Dopo due giorni disse che manifestava i sintomi del male. Nessuno gli credette, anche se tutti per prudenza si scostarono da lui. Lo invitarono ad andare a casa e a mettersi in quarantena. Quarantena? Mi bastano due giorni per sconfiggere questo porco! Io lo ammazzo subito!
Per un mese nessuno lo vide. Poi lo trovarono in casa, morto, sconfitto dal virus.
Povero rodomonte!

sabato 20 giugno 2020

COME PUO' UN BUE AVERE UNA VOCE COSI' SOTTILE?



Al giovane Adamo piaceva, più di ogni altra cosa al mondo, fare scherzi al telefono.
Si trattava quasi sempre di innocue burle, a volte anche assai stupide.
Un esempio: "Pronto, è il signor Cuzzo?"
L'interlocutore "No, sono il signor Cozzo".
Adamo: "Oh cazzo! Ho sbagliato numero!" La vittima chiude la telefonata.
Insomma, cose così, roba da poco.
Ma Adamo amava praticare anche un altro tipo di beffa: telefonare a un malcapitato a caso imitando voci strane.
Ecco, tipo questa (fatta con voce profonda e cavernosa): "Pronto, sono un bue!"
Un attimo di silenzio dall'altra parte, poi: "Mi dispiace, ma non è possibile".
"Che cosa non è possibile? Mi dica! Mi dica!" (con tonalità, se possibile, ancora più bassa e grave).
"Vede, non è proprio possibile che lei sia un bue".
"Ma perché? Come osa mettere in dubbio ciò che dico?" (lo scherzo sta diventando divertente).
"Perché lei non è come Giorgio".
"Giorgio! E chi sarebbe questo Giorgio?"
"Era il bue di mio nonno, ed era mio amico".
"Eh?"
"È stato un mio grande amico".
"E parlava?"
"Sì, proprio come sta facendo lei, anche se lei non è un bue".
"Non ci credo".
"Anche mio padre non ci credeva. Quando glielo dissi - ero ancora un bambino - mi diede un ceffone e mi ordinò di non dire mai più una cosa del genere. Mio nonno, invece, sapeva che Giorgio parlava, ma non lo ammise mai apertamente. Tra l'altro lui era un tipo di poche parole, a differenza del suo bue, che invece amava molto ciarlare".
"Ma senti! E di che cosa discorreva con il bue, quel tale Giorgio, di politica e di economia?"
"Ma no! Giorgio era un tipo semplice, amava parlare soprattutto della sua attività, del lavoro nei campi, delle semine, del ciclo delle stagioni, del tempo atmosferico"
"Lei mi sta prendendo in giro"(la voce di Adamo è molto meno grave, ora).
"No, è lei che mi sta prendendo in giro, dicendo di essere un bue mentre non lo è".
"E come fa a sapere che io non sono un bue, dal momento che i buoi parlano? Vero che parlano?"
"Giorgio diceva che tutti buoi possiedono il dono della parola, anche se soltanto pochi tra loro amano farsi sentire. In ogni caso le confermo che lei non è un bue".
"Ma perché?"
"La voce. La voce dei buoi, di tutti i buoi, è molto sottile e acuta. Lo so che può sembrare strano, in esseri dai corpi così grandi, ma le assicuro che è così. Lei non è un bue".
"Sottile? Molto sottile dice?" Poi Adamo riattacca. É la prima volta che capita a lui di farlo per primo, e non alla vittima dello scherzo telefonico.

sabato 13 giugno 2020

SU LA MASCHERA


Uscire di casa oppure no? Decise di uscire. Certo, era una bella seccatura dovere mettere la mascherina. La indossò con cura, coprendo bene anche il naso, non come quelli che lo lasciavano esposto. Inutile indossare le mutande se poi si lascia il pisello al vento, ragionò.
Fuori c'era un sacco di gente. Pensò che cosa poteva fare ma non gli venne in mente nulla. Poi vide la banca. Si rese conto che non era più necessario prenotare per potervi accedere. Entrò e, con sorpresa, vide che non c'era nessuno. Quale operazione poteva eseguire? Si ricordò che non aveva più contanti, allora optò per prelevare. Si aggiustò bene la mascherina, si avvicinò all'unico sportello aperto, estrasse la grossa pistola e disse, anzi bofonchiò per via della mascherina, al cassiere: "Questo è un prelievo, dammi tutti i soldi oppure ti spazzolo il ciuffo!"
Il cassiere, che forse si spaventò anche se non ne  siamo sicuri a causa della mascherina che impediva di scorgerne l'espressione, ubbidì.
Afferrò il denaro, lo infilò nella borsa che di solito utilizzava per la spesa, e uscì dalla banca. Si infilò negli stretti vicoli del centro storico, camminando tranquillo, e sparì.
Quando, più tardi, i carabinieri interrogano il cassiere, lui disse: "Era un tipo abbastanza alto, e indossava una mascherina".
Il milite, che indossava una mascherina scura, annuì e prese nota. Un uomo alto con la mascherina, rifletté: sembrava davvero un buon indizio.

lunedì 1 giugno 2020

LARGO AI GIOVANI


Domani avrò quarant’anni. Darò così addio alla gioventù e diventerò un vecchio.
Oggi è stato il mio ultimo giorno di lavoro. Questa mattina sono uscito da casa presto, come ho sempre fatto per tanti anni, per arrivare puntuale in ufficio. Ho svolto le mie abituali incombenze con efficienza, professionalità e precisione. Poi, al termine della giornata, ho salutato i colleghi per l’ultima volta. Sia quelli ormai prossimi alla pensione che quelli giovani. Alcuni di questi ultimi hanno appena vent’anni, di fronte a loro c’è un’intera vita lavorativa. Il tempo, tuttavia, trascorrerà in fretta e ben presto si troveranno nella mia condizione attuale. Di colpo saranno vecchi.
Mi aggiro frastornato tra le pareti della mia abitazione. Un piccolo appartamento nel quale ho vissuto a lungo e al quale devo dire addio. Nei giorni scorsi ho già raccolto la mia roba e l’ho sistemata in alcune valigie e in due grossi sacchi di plastica neri. I vestiti, alcuni libri, vari insignificanti oggetti che per me però rappresentano un ricordo, la maniera per rievocare attimi felici della mia esistenza. Da domani non abiterò più qui, sarò trasferito.
Mi lascio cadere sulla mia poltrona preferita, che ovviamente non potrò portare con me, e rifletto.
Considero che in passato le persone anziane godevano di autorità e rispetto. I vecchi erano i depositari del sapere e della saggezza. Adesso sono considerati gli elementi deboli della società, privati di ogni autorevolezza, e condannati senza appello all’emarginazione. Superata una certa soglia d’età, uomini e donne sono ritenuti non più in grado di sostenere i ritmi frenetici e competitivi del mondo del lavoro. Non più all’altezza della vita di tutti i giorni, dei suoi numerosi obblighi sociali. La conseguenza drammatica è il subentrare in questi individui di uno stato di frustrazione che conduce a una inevitabile crisi di identità. Gli esseri umani più attempati all’improvviso non sanno più quale sia il loro ruolo, da quel momento in poi la loro unica missione è quella di sopravvivere.
Fino a poco tempo fa non era così. Il prolungarsi, sempre più, della vita umana aveva comportato l’adozione di una scelta che ora appare scriteriata: l’innalzamento senza limiti dell’età della pensione. A un certo punto tutti i posti di vertice nell’industria, nella finanza e nelle istituzioni erano occupati da arzilli ottuagenari che non avevano alcuna intenzione di farsi da parte per favorire il ricambio. Così come in fabbrica gli operai con più di cinquant’anni di lavoro alle spalle rappresentavano la norma e non l’eccezione. Poi c’è stata la ribellione dei giovani, e sappiamo com’è andata a finire. D’altra parte era inevitabile che ciò accadesse. C’è stata una brusca inversione di tendenza, e tutto è stato rimesso in gioco, in virtù di quella pressione esercitata dalle masse giovanili esasperate che per poco non è sfociata in terribile violenza. Il processo, in ogni caso, è stato governato. Le misure attuate per rimediare agli errori del passato si sono però rivelate, a mio avviso, troppo drastiche. Io ne sono una vittima. Seguo con attenzione, ancora oggi, la battaglia di un piccolo movimento in cui mi riconosco affinché ci sia un ripensamento e l’età di quiescenza sia di nuovo aumentata, sebbene di poco. Per me, comunque, è ormai troppo tardi.
Domani non dovrò preoccuparmi di nulla. Aspetterò finché non mi verranno a prendere, con il furgoncino della Casa Protetta, e mi condurranno nella mia nuova abitazione, una stanzetta che dovrò condividere con un altro vecchio come me. In quel posto troverò tutto ciò che mi serve. Ci sarà il bar, dove avrò diritto a due consumazioni giornaliere, e anche il cinema. Avrò la possibilità di giocare a bocce e a carte, potrò trascorrere lunghe ore a pescare nel laghetto. Non mi toccherà preoccuparmi dei pasti, dei vestiti e della pulizia della camera. Naturalmente non potrò uscire dal perimetro della Casa, né disporrò di denaro, che comunque sarebbe del tutto inutile. Insomma, godrò di parecchi privilegi.
Il mio nuovo status purtroppo comporterà anche delle rinunce, alcune delle quali assai dolorose.
Innanzitutto non potrò più avere figli. Sarò sottoposto a un piccolo intervento chirurgico che mi renderà per sempre sterile. È ormai dimostrato che i nati da genitori troppo anziani hanno problemi di inserimento nell’attuale tessuto sociale. Io di figli non ne ho, e dunque non sarò mai genitore. L’esistenza frenetica che ho condotto nella prima parte della mia vita mi ha sempre impedito di incontrare la persona adatta con la quale poter formare una famiglia, non ho mai avuto la possibilità di fare dei progetti. Un giorno dopo l’altro sono invecchiato, e adesso è inutile abbandonarsi al rimpianto.
Tra le altre cose che perderò passando all’età senile c’è il diritto di voto. Gli anziani non possono intervenire nella vita pubblica, non hanno la prerogativa di esprimere le loro idee politiche attraverso la partecipazione al processo elettorale. La pratica degli affari collettivi è materia esclusiva dei giovani. Noi vecchi non abbiamo interesse, e necessità, che qualcosa cambi. Insomma, che ci sia un rinnovamento, perché nulla ci riguarda più. La nostra vita, dal momento in cui entriamo nella Casa, è tutta pianificata, regolata fin nelle sue minime sfaccettature. Dobbiamo pensare soltanto al riposo, poiché il nostro contributo alla società è ormai esaurito. Un periodo di ristoro e di sollievo che potrà durare anche parecchi decenni, durante il quale correremo il rischio di morire di noia, ma al quale poco per volta ci abitueremo. Diventeremo consapevoli della nostra inutilità, perché nessuno ci starà a sentire, nessuno verrà a chiedere un nostro parere. Dovremo invece pensare a rilassarci, a vivere giornate tutte uguali ma serene e tranquille, ad aver cura del nostro corpo e, impresa alquanto più impegnativa, della nostra mente. Lentamente tutte le scorie e le tossine accumulate negli anni di faticoso lavoro saranno espulse, ci trasformeremo così in esseri nuovi, distaccati dalle cose materiali, dalla lotta quotidiana, liberi dall’ambizione, non più schiavi dei sentimenti, mondati da ogni bruttura.
Domani inizierà la mia nuova vita. Vivrò fino alla fine circondato soltanto da gente della mia età o più anziana. Non avrò più alcun contatto con le nuove generazioni, che si succederanno in un processo naturale del quale non avrò percezione.
Ed è proprio questo l’aspetto positivo della mia nuova qualità di vecchio. Quello che più mi appaga e più mi gratifica: non vedrò più persone giovani, non avrò più alcun contatto con loro, nessun tipo di rapporto. E questo è un bene, perché io i giovani li odio.            

domenica 22 marzo 2020

ARRUOLAMENTO



La cartolina era azzurra. L'aveva trovata nella cassetta per le lettere. L'aveva presa, ed era risalito di corsa in casa. Quando sua moglie lo vide rientrare, con quel pezzo di carta in mano, subito comprese.
"È arrivata?" domandò, con un filo di voce. Lui annuì. Poi iniziò a camminare in maniera nervosa avanti e indietro nella piccola cucina..
Sua moglie gli si avvicinò e lo guardò negli occhi.
"Sapevi che prima o poi sarebbe arrivata" disse. "Siamo in guerra, e stanno arruolando tutti" aggiunse.
Lui annuì di nuovo, più volte. Sembrava non riuscire a parlare. Poi si avvicinò ai suoi due bambini, accarezzò le loro testoline e i loro visi paffuti, sfiorò con le dita le labbra della moglie e finalmente disse: "Devo raggiungere subito la destinazione". Questa volta fu la donna ad annuire, seria.
L'uomo uscì dalla cucina, entrò in soggiorno e si sedette sul divano. Accese la televisione. Era in guerra, e avrebbe fatto il suo dovere fino in fondo.

sabato 21 marzo 2020

PICCOLA STORIA



Aveva avuto successo fin da subito, fin da quando aveva intrapreso la sua attività imprenditoriale.
Lui  era molto abile, aveva grandi idee, e riusciva sempre a realizzarle. Si era circondato di collaboratori capaci, che aveva scelto di persona uno per uno, li aveva retribuiti bene e loro lo avevano ripagato.
Era diventato ricco e potente. Rispettato, e anche un po' temuto.
Soltanto lui però conosceva il vero segreto della sua fortuna: non aveva mai pagato un centesimo di tasse. Ed era stato così scaltro che il suo crimine non era mai stato scoperto.
Poi era arrivato quel maledetto virus. Quel bastardo rompiballe. E lui si era ammalato. E in ospedale non c'era più posto, perché tanti altri, come lui, non avevano pagato le tasse. E poi era morto.

martedì 17 marzo 2020

RACCOMANDAZIONI



"Uscite sui balconi e pregate insieme. Recitate il rosario".
Ecco, sono questi i preziosi consigli dispensati dalla signora Barbara D'Urso durante uno dei suoi pseudo-programmi televisivi. Raccomandazioni accorate che, nelle intenzioni, dovrebbero servire per affrontare meglio questo momento così difficile.
Sottolineando che non vi è nulla di personale (e come potrebbe mai esserci?) tra chi scrive e la suddetta signora della televisione, è tuttavia conseguente esprimere una semplice considerazione.
Se in tempo di pace può essere accettabile sopportare il berciare vuoto di personaggi improponibili (tra i quali si annoverano anche alcuni popolari politici), in tempo di guerra ciò risulta intollerabile.
Tali individui dovrebbero fare ciò che i cittadini responsabili stanno facendo: rimanere chiusi in casa. E soprattutto stare zitti.


domenica 15 marzo 2020

GUERRA



È una guerra come quelle di una volta. C'era chi decideva la strategia, e che non sempre azzeccava quella giusta. C'erano le retrovie, chi si doveva occupare degli approvvigionamenti e chi della logistica.
E c'erano le truppe di riserva, che adesso invece non ci sono.
E c'era poi la prima linea, quelli che davvero combattevano, quelli che affrontavano direttamente il nemico, lanciandosi dalle trincee verso la terra incognita, la terra di nessuno. Quelli che lottavano in furibondi corpo a corpo, quelli che alla fine si sacrificavano per tutti gli altri. Quelli eroici.
E gli eroi di questi nostri giorni tristi sono gli operatori sanitari. Tutti, dal primo all'ultimo, dal più qualificato al più umile.
E quando sarà il momento dovremo ricordarci di loro. In tutti i modi possibili.
Se non lo faremo, che la vergogna, la riprovazione e l'ignominia ricadano su di noi per sempre.

sabato 14 marzo 2020

TRICOLORE



Scoccano le ore dodici. Mezzogiorno. Rintocchi di campane che suonano netti, decisi, al contrario di quanto avviene di solito, quando passano quasi inosservati.
Dal palazzo di fronte una donna esce sul balcone. Impugna una grande bandiera tricolore. La sventola e grida: "Viva la vita!"
Subito tutti i balconi degli stabili vicini si popolano. La poca gente in strada, quelli che fanno la fila alle porte dei negozi, ben distanziati tra loro, sollevano gli sguardi. Dalla farmacia escono tre camici bianchi immacolati. Si uniscono al fragoroso applauso. Acclamazione a quella alla donna, alla bandiera, alla vita.
Ciò che potrebbe essere ridicolo è invece struggente. Uno strazio da brividi.