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domenica 4 febbraio 2018

LA MONTAGNA DI ROTTAMI - 1° parte



Un piccolo motocarro si avvicinò lentamente al cassonetto dei rifiuti. Lo sgangherato veicolo era di color verde pallido, isole di ruggine ne maculavano la carrozzeria. Si arrestò e ne scese un uomo. Circospetto, si guardò attorno. Una leggera foschia sfumava i contorni degli alberi e delle case. L'uomo si diresse risoluto verso il cassonetto, le mani in tasca, con atteggiamento di finta indifferenza. Accanto al grosso contenitore di plastica languiva da tempo la carcassa di una lavatrice. C'era soltanto la scocca, perché il motore, le parti elettriche e le altre viscere meccaniche erano state asportate da tempo. L'uomo sfilò le mani dalle tasche sfondate dei calzoni. Vi sputò sopra e poi le strofinò a lungo. Forza! All'opera, si disse. Issò il rottame sulle spalle, fece pochi passi e poi lo scaraventò sul pianale del motocarro. Si udì un gran frastuono, seguito da una successiva eco che si perse nella nebbia. Risalì alla guida, avviò con fatica il motore e ripartì. Dopo un breve tragitto il veicolo svoltò sulla destra, quindi imboccò uno stretto vialetto dal fondo molto sconnesso. All'improvviso apparve una casupola sbilenca, del tutto circondata da una recinzione metallica arrugginita. La motoretta fu sistema sotto una tettoia che appariva pericolante. L'uomo scaricò i testi della lavatrice. Proprio in mezzo all'ampio cortile, tra pozzanghere e ciuffi di erba ingiallita, c'era una montagnola dal diametro di almeno cinque metri e alta circa tre, composta completamente da rottami: frigoriferi, televisori, cucine a gas, biciclette, scaldabagni, pezzi e tubi di ferro di ogni foggia e dimensione. Questi ultimi contorti e pieni di ruggine, e tutti in precario equilibrio. L'uomo buttò l'ultimo rottame arrivato il più in alto possibile. Le lamiere scivolarono leggermente verso il basso e poi si incastrarono tra gli altri rottami. Compiaciuto e soddisfatto l'uomo osservò a lungo la sua montagna, il suo tesoro. Poi si voltò di scatto. Il sorriso scomparve a poco a poco dal suo volto e si trasformò in una smorfia dolorosa. Sfilò dalla giubba una piccola chiave ed entrò in casa. Il primo ambiente, la cucina, era poco spazioso, buio e opprimente. Il pavimento era coperto da linoleum tutto rovinato. Le pareti, spoglie, non erano mai state ripulite. C'erano un misero tavolo, con quattro sedie malamente impagliate, un antico fornello a gas, un lavello di maiolica tutto scheggiato e alcuni mobiletti di formica grigia. L'uomo non si sciacquò neppure le mani, che erano sporche di grasso, e aprì il frigorifero. Aveva fame. Prese del formaggio e poi del pane dalla credenza. Un coltello. Affettò lentamente il formaggio e, accompagnandolo con il pane ormai raffermo, mangiò. Cristo, quel bastardo del panettiere è sempre tra i coglioni e io devo mangiare il pane vecchio, pensò l'uomo, e subito dopo imprecò. Sul tavolo, in perfetta e splendida solitudine, troneggiava il bottiglione del vino, pieno a metà. L'uomo afferrò dal lavello un grosso bicchiere, che da tanto tempo non era stato lavato, e lo riempì fino all'orlo. Tracannò il liquido rosso e denso tutto di un fiato provando un immenso piacere. Quindi, con gesti rapidi e nervosi, sfilò gli scarponi infangati e si diresse verso la stanza da letto. Questo era un ambiente ancora più desolato della cucina. Il letto era sfatto, le lenzuola erano sudice e stropicciate. Non c'era neppure il comodino, ma soltanto un piccolo armadio di compensato. L'uomo si sdraiò completamente vestito. (continua)