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domenica 19 novembre 2017

INFERNO


I ragazzini sono accomodati composti sulle sedie della piccola sala parrocchiale, con i loro libretti sulle ginocchia, i maschi da una parte e le femmine dall'altra. Tempo un paio d'anni e tale rigida separazione non ci sarà più, bisognerà dividerli con la forza.
Don Rinaldo passeggia nervoso di fronte a loro. Ogni tanto lancia un'occhiata al suo vistoso orologio d'oro, dono dei parrocchiani per i suoi quarant'anni di sacerdozio. Tra pochi minuti inizierà il gran Premio di Formula Uno, e il prete non ha nessuna intenzione di perderne la partenza, che è la fase più interessante della gara. Sì, sarebbe un vero peccato lasciarsela sfuggire (ah! ah!).
"Vi devo abbandonare perché ho un impegno importante" dice don Rinaldo. "In ogni caso Olga sta per arrivare. Mi raccomando, state buoni e composti, e non fate chiasso. Ricordate che Gesù vi guarda" aggiunge il prete indicando, alle spalle dei bambocci, un grande crocifisso appeso al muro. Alcuni di loro si voltano, a osservare quel povero Cristo inchiodato alla croce, gli occhi chiusi di chi non può più vedere nulla. Detto ciò il prete si allontana quasi di corsa, lasciando i ragazzini soli.
Dopo pochi minuti di attesa compare la catechista. Trafelata, rossa in viso, i capelli un po' unti tirati all'indietro. Olga è sempre di fretta. Nonostante la sua vita intensa e caotica, non ha mai voluto rinunciare a quell'impegno che porta avanti da tanti anni. Le piace insegnare il catechismo ai bambini, si augura di essere per loro una guida di fede, di non fallire nel compito come invece è accaduto con i suoi figli. Quei tre scatenati. In verità scatenatati è un eufemismo, poiché il termine più adatto per definirli sarebbe delinquenti. Giorgio, il maggiore, è stato sospeso da scuola. D'accordo, ha subito un torto da un compagno, ma non poteva limitarsi a perdonarlo invece di riempirlo di botte? E poi c'è l'altro, il secondo, che di nome fa Secondo, come il nonno paterno, che tutte le sere rientra dopo le due, quasi sempre ubriaco per non dire altro, e non ne vuole proprio sapere di mettere la testa a posto. E anche il più piccolo promette bene: pochi giorni prima lo ha sorpreso a ricattare una ragazzina impegnandosi ad aiutarla nello studio della matematica in cambio di sesso. Sesso, a quell'età! Per non parlare del marito. E chi lo vede mai, quell'inutile e inesistente padre e marito? Sempre fuori, sempre in giro. Per lavoro, dice. Olga in realtà ritiene che lui abbia un'amante, ma non ha mai avuto voglia di domandargli se ciò sia vero. Un'amante con delle pretese, oltretutto, dal momento che Olga ha notato che i pochi risparmi della famiglia si stanno assottigliando sempre di più. Ma poi, riflette ancora la catechista, chi mai si prenderebbe quello scarto di uomo? Probabilmente il mentecatto si sta mangiando tutti i soldi frequentando squallide puttane o, peggio ancora, giocando a carte o alle slot. I soldi, l'eterno problema. Come si fa a vivere in cinque con un solo (scarso) stipendio? Tra un po' lei non riuscirà neppure più a mettere insieme pranzo e cena, dovrà ricorrere ai pacchi della parrocchia, e tale drammatica situazione va avanti da quando lei ha perduto il lavoro. Dopo quasi vent'anni di servizio il notaio l'ha lasciata a casa. Per limitare i costi dello studio, le ha detto. Sai, devi avere pazienza, ha aggiunto, ma la crisi mi ha messo in ginocchio. Per limitare i costi non poteva vendere una delle sue ville? Oppure rinunciare alla barca? No, ha preferito licenziarla. Naturalmente dopo pochi mesi ha assunto un'altra impiegata, una giovane minigonna. Olga si riscuote, i suoi allievi la stanno osservando, in attesa dell'inizio della lezione. Deve sbrigarsi, darsi una mossa, perché subito dopo dovrà correre da sua madre. L'anziana donna è inferma da anni, e tutta l'assistenza pesa sulla figlia. Il figlio, invece, non se n'é mai occupato. Per prima cosa lui è un uomo, e assistere un'inferma è cosa da donne. Inoltre il suo lavoro - è direttore di una grande azienda - non gli concede mai tempo. Neppure il tempo di scucire qualche biglietto di banca per un po' di aiuto economico. Bastardo egoista e tirchio. Olga si annota mentalmente che il giorno dopo dovrà passare finalmente dal medico, perché la sua salute, sempre trascurata, non va affatto bene, si schiarisce la voce e poi inizia.
"Ragazzi, oggi vi parlerò dell'inferno" dice. Tutti si fanno attenti. L'inferno è sempre l'argomento che più appassiona i ragazzi. Proprio come i film horror, considera tra sé la catechista.
"La Chiesa nel suo insegnamento afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità" prosegue Olga. "Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, il fuoco eterno. Vi è mai capitato di scottarvi un dito? Vi ricordate l'immenso dolore che avete provato? Ecco, l'inferno è così, ma mille e mille volte di più. E per sempre".
Qualcuno dei ragazzini, al pensiero, rabbrividisce, altri rimangono indifferenti. Troppo difficile da immaginare, il concetto. Uno di loro arriccia il naso, in una espressione scettica. È il solito, sempre lui, il piccolo Fulvio dai capelli rossi. Un ragazzino molto intelligente, vivace, pronto, perspicace. Un insieme di qualità che lo rendono un autentico scassaballe. Olga sospira. Tra pochi secondi il bricconcello testa di carota farà qualche strana domanda e la metterà in difficoltà. E infatti, cazzo, Fulvio alza la mano. Olga la parola cazzo non la pronuncia mai, ma durante le sue tormentate giornate la pensa spesso, tutte le volte (e sono davvero tante) che deve affrontare una difficoltà.
"Posso chiedere una cosa?" domanda il ragazzino.
"Certo" risponde la catechista, paziente e colma di cristiana rassegnazione.
"Lei ha detto che all'inferno si va dopo la morte. E poi ci ha descritto l'inferno. Siccome nessuno torna indietro dalla morte, da dove arriva la descrizione che ci ha fatto? Sarà mica tutto inventato?"
La logica dello sveglio ragazzino è ineccepibile, pensa Olga, che poi annuisce. E subito dopo crolla.
"Hai ragione, Fulvio" dice con voce tremante. "Non tutti quelli che vanno all'inferno sono morti. Può capitare di finirci anche da vivi e poi di tornare indietro. E poi di andarci di nuovo, subito dopo".
Il ragazzino la fissa con la bocca spalancata, stupito. Poi la sua curiosità prevale.
"E chi sarebbero questi che vanno e vengono dall'inferno?" domanda.
"Ne hai una proprio davanti a te" dice Olga.

domenica 12 novembre 2017

TECNICA

Non ho intenzione commentare più di tanto la sconfitta subita dalla nazionale italiana di calcio contro la Svezia nel primo dei due spareggi per l'assegnazione di un posto ai prossimi Mondiali. Non lo farò, perché a proposito c'è ben poco da dire. Gli appassionati hanno assistito all'incontro e hanno avuto modo di fare le considerazioni del caso. Vorrei invece parlare di tecnica calcistica.
Si sente dire spesso, da tifosi, addetti ai lavori e giornalisti, parlando dei calciatori azzurri: "I nostri atleti sono inferiori dal punto di vista atletico, ma possiedono senza alcun dubbio una tecnica superiore".
Questa frequente e generale affermazione corrisponde al vero?
Che cosa si intende per tecnica?
Gli elementi principali della tecnica calcistica sono soprattutto quattro: il dominio della palla, il calcio della palla (passaggio e tiro), la guida della palla e la ricezione della stessa (lo stop). Vale a dire l'insieme dei movimenti e delle azioni attuati durante una partita nella quale il primo obiettivo è il possesso della palla, il secondo la difesa e la riconquista del pallone.
Esistono calciatori dotati di tecnica sopraffina (pochi), altri di livello tecnico intermedio e altri ancora che di tale qualità sono del tutto sprovvisti. Per esemplificare: Diego Armando Maradona e Lionel Messi appartengono di sicuro alla prima categoria. Anche tra i calciatori azzurri ve ne sono stati, in passato, alcuni dotati di tecnica eccelsa. Per stare ai miei ricordi, cito tra loro Rivera, Mazzola, Baggio, Totti, Del Piero, Pirlo.
Attualmente, però, qual è il livello tecnico dei calciatori italiani?
Torniamo per un attimo alla partita dell'altra sera. Il nostro miglior difensore, per applicazione, impegno e spirito agonistico è stato Giorgio Chiellini il quale, per manifesta incapacità nel costruire da parte dei centrocampisti, spesso ha dovuto impostare l'azione o appoggiare ai compagni. Ebbene, tutti sanno che il buon Chiellini, al posto dei piedi, si ritrova due scatole da scarpe.
La nota più dolente riguarda proprio i già citati centrocampisti. Nessuno di loro è apparso in grado di trattenere la palla, di smistarla con precisione, di proporre delle geometrie di gioco, di avere delle idee. Il più dotato tecnicamente tra loro (si dice), un tale Verratti, tutte le volte che riceveva la sfera si limitava a fare un paio di giravolte attorno a essa, per poi effettuare un passaggio di due metri, sovente all'indietro. Sarebbe questa la prodigiosa tecnica dei calciatori azzurri? Per non parlare degli attaccanti, assolutamente non in grado di effettuare movimenti utili, di smarcarsi, e del tutto incapaci di fermare il pallone. Infine, gli esterni o presunti tali, i vari Candreva o Insigne. Il primo, come sempre, costretto a sfiancarsi per coprire l'intera fascia, il secondo impiegato tardivamente e, come spesso gli capita in nazionale, in un ruolo che non gli si addice. Ma, per queste ultime considerazioni, entrerebbero in gioco valutazioni legate alla competenza commissario tecnico, per cui è meglio glissare.
Torniamo invece alla tecnica per dire che, con tutta evidenza, essa non accompagna più i calciatori italiani. A questo punto per la nazionale italiana le cose si fanno difficili. Le probabilità di non prendere parte a un Mondiale, dopo sessant'anni, sono purtroppo molto alte. Constatato che l'inferiorità fisica nei confronti della squadra svedese (e di quasi tutte le altre nazionale del mondo) è evidente e incolmabile, che non è vero che i nostri giocatori posseggano doti tecniche superiori, a che cosa ci si può appellare nell'affrontare la decisiva partita di spareggio per sperare di approdare ai Mondiali? Rimangono soltanto due elementi: il cuore e la fortuna. Basteranno?

sabato 11 novembre 2017

L'ALPEGGIO


Tratto dal libro "Le storie di Magnìn", di Enzo Sopegno (Youcanprint Edizioni) in uscita a novembre 2017. Le storie di Magnìn, il figlio dello stagnino, e della sua stravagante banda di amici. Storie ad alto contenuto alcolico, irriverenti e un po' scorrette. 
Le storie di un tempo che non c'è più.

"Andiamo su alla malga a salutare il bergé" ordinò Magnìn.
"No!" esclamò lagnoso Giors, che era stanco e completamente ciucco. Lo legarono con la fune e lo trascinarono su per il sentiero. Giunsero quasi subito in vista dell'alpeggio, costituito da un paio di baite in pietra in parte diroccate e da una vasca di cemento piena d'acqua, l'abbeveratoio degli animali. E poi videro l'immenso gregge: centinaia di pecore. L'unico capro, che avevano già conosciuto, cominciò subito a puntare Nando con i suoi occhietti maligni.
"Dov'è il bergé?" domandò Giors.
"Dovrebbe essere in mezzo al gregge" rispose Magnìn.
Era quasi impossibile distinguere il pastore dalle sue pecore. Alla fine lo riconobbero perché non portava il campanellino appeso al collo. L'uomo venne loro incontro. Da due mesi viveva da solo nell'alpeggio e non si era mai lavato. L'assoluta mancanza di contatti umani lo aveva privato dell'uso della parola. Si esprimeva a gesti, ogni tanto gli scappava qualche sommesso belato. Riuscì in qualche modo a farsi comprendere e invitò Magnìn e i suoi amici all'interno di una delle due stamberghe, quella che utilizzava come abitazione. L'interno della baita era buio e puzzolente. Dappertutto c'erano bottiglie, piene e vuote, tanto che era difficile muoversi in quello spazio angusto. È dei nostri, considerò Magnìn con soddisfazione. In un angolo c'era un tavolaccio sul quale erano appoggiate alcune splendide forme di formaggio. Il pastore invitò gli ospiti a servirsi. Tutti rifiutarono tranne Nando, che era molto affamato.
"Accettiamo volentieri un goccio di vino" disse il figlio dello stagnino, mentre Nando si avventava sulle invitanti tome. In pochi minuti divorò mezza forma. Gli altri, nel frattempo, asciugarono tre bottiglie.
Il pastore osservava con insistenza Nando.
"È un bravo ragazzo, ma beve poco" commentò Magnìn. Il vecchio bergé scosse il capo. Nel suo sguardo c'era commiserazione.

DUE RAGAZZI DI CORSA

I due ragazzi corrono sulla strada deserta. Il più robusto indossa una maglietta sbiadita, pantaloncini di raso blu con i bordi bianchi e sfilacciati, logore scarpette da corsa. L'altro una canottiera rossa e calzoncini gialli. Ai piedi porta scarpe nuove fiammanti. Ogni giorno, dopo la scuola e qualche ora passata a riposare e studiare, i due amici si incontrano e partono. La corsa è la grande passione di entrambi. I loro allenamenti non sono quasi mai programmati, sia in durata che in difficoltà. Corrono sul nastro d'asfalto, nei campi, sui sentieri sconnessi e nei boschi lungo il fiume. Un rito quotidiano, che ora ha appena avuto inizio. Questione di poco tempo e la condizione dei due podisti muterà all'improvviso. Le falcate diventeranno più sciolte, il cuore pomperà una quantità di sangue sufficiente a permettere la piena espansione dei loro polmoni. Cambierà anche lo stato psicologico dei corridori. L'organismo sotto sforzo produrrà una quantità di endorfine tale da determinare l'insorgere di benessere, eccitazione e euforia. All'improvviso Beppe rallenta fino a fermarsi. Ha notato, sul bordo della strada, un oggetto che ha attirato la sua attenzione. Proprio vicino al fossato. Si china e raccoglie il volante di un'automobile. Come è finito in quel posto? È mai possibile perdere un volante? Le domande durano lo spazio di un attimo. Beppe riprende a correre e cerca di recuperare il terreno perduto. Impugnando saldamente il volante, in pochi istanti raggiunge il compagno che nel frattempo ha rallentato per aspettarlo. Vincenzo vede l'amico che corre e... guida. Sorride e sta al gioco. Si affianca a Beppe e finge di essere il passeggero di un'automobile immaginaria. I rari passanti li guardano stupiti, sbalorditi. Qualcuno di loro sembra divertito, qualcun altro scuote il capo in segno di disapprovazione. Beppe imita il rombo della macchina con la bocca, fa il gesto di suonare il clacson. Dopo alcuni minuti i due amici si stufano. Il volante, come fosse un disco, è lanciato lontano, in un prato. La corsa riprende, adesso a ritmo più tranquillo. I corridori sono ormai giunti alle ultime case del paese. Vincenzo allunga il passo e si avvicina a una palazzina a più piani. Individua il quadro dei campanelli e, rallentando per un attimo, passa la mano sull'intera pulsantiera, con grazia da pianista. Poi accelera di colpo. Beppe, da lontano, si è accorto della manovra dell'amico. Pure lui aumenta l'andatura ma, quando transita davanti all'edificio, alcuni irritati inquilini sono già affacciati alle finestre e lo scorgono. Poco più avanti Vincenzo ride e corre, corre e ride finché non è raggiunto dal compagno che gli sferra una manata sulla schiena, fingendo di essere arrabbiato. Ma dopo ride anche lui. Si prosegue, con maggiore scioltezza, con più velocità, lo stato di esaltazione aumenta. I due giovani podisti ora imboccano un sentiero dal fondo irregolare, che porta nel bosco. Sono accaldati, sudano. Su un lato della traccia scorre una piccola roggia. Acqua fresca. Vincenzo, concentrato, aumenta ancora di più l'andatura. Beppe invece si ferma un istante, il tempo di rinfrescarsi il viso. Quindi si porta le mani, racchiuse a coppa, verso la bocca e lappa un po' di quel liquido corroborante. E poi di nuovo via, rinfrancato. I due ragazzi si godono la frescura del bosco. Alberi, cespugli, vegetazione rigogliosa e incolta creano un budello ombroso che allenta la morsa di calura. A un tratto i corridori si trovano di fronte un ostacolo imprevisto: un'automobile. Il veicolo è fermo sul sentiero, quasi incastrato tra enormi arbusti che lo stringono ai lati. Una specie di tappo, che ostruisce completamente il passaggio. I due ragazzi sono costretti ad arrestarsi, con loro enorme disappunto. Non è proprio possibile proseguire, ma non è altresì pensabile tornare indietro. É ormai troppa la strada percorsa, mentre andando avanti si riuscirebbe a tornare in paese in poco meno di venti minuti. La macchina naturalmente è ferma, il motore è spento, tuttavia si muove. La vettura ondeggia lievemente, è possibile persino udire i piccoli gemiti emessi dagli ammortizzatori, che si alzano e si abbassano. Beppe e Vincenzo si avvicinano in silenzio al mezzo. Accertano una volta di più l'assoluta impossibilità di passare ai lati. A questo punto, sempre più contrariati, ma comunque curiosi, si accostano sporgendosi al lunotto posteriore e sbirciano all'interno dell'autovettura. Scorgono delle persone. La prima, una donna, è sdraiata sulla schiena. Della sua figura è possibile vedere soltanto una minima parte del volto e una gran massa di capelli neri. L'altro, un uomo, è adagiato su di lei. Ed è nudo. In realtà indossa ancora i pantaloni, ma questi sono calati fino alle caviglie. I due ragazzi osservano la nuca di quell'individuo. I suoi capelli, tagliati corti, sono biondi e molto chiari, quasi fosse un albino. Le sua natiche, marmoree, si muovono a stantuffo e spiccano per la loro tinta pallida. Beppe e Vincenzo, dapprima sbalorditi, ora si scambiato un sorriso complice. Poi uno annuisce all'altro. I due tornano indietro di alcuni metri sul sentiero, muovendosi con circospezione per non fare rumore. Infine prendono la rincorsa e, prima uno e poi l'altro, saltano sulla parte posteriore dell'auto, poi sul tetto e sul cofano. Una serie di tonfi sordi, sulle lamiere che dapprima si flettono e poi restituiscono la spinta. L'odioso ostacolo è superato. I due ragazzi, correndo ormai liberi, si voltano indietro per un attimo. La macchina non si muove più. Al suo interno intravedono un agitarsi frenetico di ombre. I due ragazzi proseguono la corsa, carichi di adrenalina.

venerdì 3 novembre 2017

DAL MAGISTRATO


Il magistrato puzza. Il suo corpo, grosso e fasciato in una giacca pesante, emana un afrore penetrante. Una mescolanza di sentore di dopobarba ormai quasi del tutto evaporato e di olezzo di sudore. L'uomo appare accaldato, a un certo punto china il capo, accenna un sorriso più simile a una smorfia di sofferenza, poi si sfila la giacca e la appoggia sulla scrivania. Si stringe nelle spalle, quasi a chiedere scusa per quella che considera una caduta di rispetto tuttavia ineluttabile, dettata dalla necessità. In corrispondenza delle sue ascelle, a spiccare sulla camicia bianca, si allargano due chiazze di traspirazione. Il magistrato si volta, lento, si avvicina alla finestra. Osserva il cortile della Procura della Repubblica per alcuni istanti mentre, con un gesto quasi impercettibile e lesto si allenta la cravatta. Poi, di scatto, quasi a testimoniare una prodigiosa ritrovata vitalità, torna indietro e si siede alla scrivania, inforca gli occhiali. Con gli occhi bassi scorre alcune carte, annuisce tra sé, più volte, infine solleva la testa, e finalmente rivolge l'attenzione alla sua interlocutrice.
"Chiedo scusa se l'ho fatta attendere così a lungo" pronuncia, a voce bassa.
É vero, la donna ha atteso a lungo. Ha trascorso più di un'ora ad aspettare in una piccola anticamera adiacente all'ufficio, infastidita dalla presenza di un fotografo che infine è stato allontanato. Intendiamoci, lei adora essere ritratta, non ne perde mai l'occasione, tuttavia predilige ben altre situazioni: l'inaugurazione di una mostra d'arte oppure di una qualsiasi iniziativa a favore dei cittadini di cui può rivendicare il merito, un convegno, l'incontro con una delegazione di amministratori stranieri. In questo momento, invece, si sente a disagio. La sua è stata una giornata lunga e sofferta, interminabile. Si rende conto di non essere al suo meglio. É stanca, provata, e di sicuro anche il suo aspetto riflette quel malessere. Quasi certamente il suo trucco avrebbe bisogno di essere rinfrescato, i capelli spazzolati. Pur senza avere la possibilità di verificarlo, è consapevole del pallore del suo volto. Posa inorridita lo sguardo sulle ascelle pezzate del magistrato e teme che le sue lo siano altrettanto, che la sua camicetta sia lorda di sudore acido, che il suo corpo sottile, in ebollizione, diffonda nell'ambiente il miasma della preoccupazione e della paura. La donna, tuttavia, è pure molto contrariata. Anzi, incazzata nera. Come osa, quell'uomo stanco, approfittare in maniera così deliberata del suo prezioso tempo? Lei, si sa, non è una persona qualunque. Lei è un amministratore pubblico, una persona che risponde non soltanto a se se stessa ma ai cittadini che l'hanno scelta. I magistrati, invece, hanno sempre ragione. Dispongono delle persone, del loro tempo, delle loro azioni, protetti da quello schermo invisibile dietro il quale si riparano, quello della Legge. Nella donna monta sempre più l'indignazione. Lei non ha fatto nulla di male! Ha agito per il bene dei cittadini, si è dannata per inseguire e perseguire il bene pubblico, per tutelare ciò che appartiene a tutti. Non ha sbagliato, non può aver sbagliato. I suoi atti non possono essere messi in discussione. Eppure si ritrova seduta su quella sedia che scotta. Quasi non percepisce, dietro di lei, la presenza del suo avvocato. Il legale, in quegli istanti di attesa, prima che tutto abbia inizio, ha avvicinato un paio di volte il capo alla sua nuca, le ha bisbigliato alcune raccomandazioni. Lei non le ha sentite. Ha distinto il suono, ha avvertito il soffio d'aria che ha solleticato il lobo del suo orecchio, ma non ha compreso le parole. O meglio, non ne ha colto il significato. Sarà la stanchezza, pensa, oppure la tensione nervosa. In fondo, prima, lei in Procura non c'era mai stata. Non le era mai capitato, nella sua breve esistenza, di ritrovarsi di fronte a un magistrato. Di essere accusata di qualcosa. Non importa, c'è sempre una prima volta, e lei affronterà questa assurda evenienza con la risolutezza che i suoi sostenitori le riconoscono. Se necessario, con l'arroganza che gli avversari politici le rimproverano. Ma la sua determinazione sta venendo meno. All'improvviso riconosce che la sua mente è confusa, che di tutta la strategia difensiva, sapientemente elaborata con il suo difensore, non rammenta quasi nulla. Ha le labbra secche, la gola secca, gli occhi secchi che bruciano. É come se l'intero suo corpo fosse privo di liquidi, di quei fluidi preziosi che ne consentono il funzionamento. Osserva le mani, appoggiate in grembo, che tremano, le nocche sbiancate.
Il magistrato le rivolge un sorriso sghembo.
"Non si preoccupi, il nostro sarà un colloquio preliminare, del tutto amichevole. Servirà soltanto ad esaminare i fatti. Innanzitutto dobbiamo sbrigare alcune formalità, un po'  noiose e banali.  Dunque, mi confermi nome, cognome, luogo e data di nascita".
La donna annuisce e poi si accinge a rispondere. Spalanca la bocca, dalla quale però non esce alcun suono. Il suo nome non lo ricorda più.