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domenica 24 settembre 2017

IL CANDIDATO


Luigi Di Maio. Osservatelo con attenzione. Guardate il suo perfetto taglio di capelli, la sua perpetua abbronzatura, l'abito impeccabile, da rappresentante di aspirapolvere, da agente di assicurazioni, da impresario di pompe funebri. Soffermate lo sguardo su questo bel giovanotto dalla faccia pulita, sul candidato pentastellato che ha avuto più di trentamila voti alle primarie, mentre il suo partito conta centoquarantamila iscritti, più di ottomilioni di voti ottenuti alla Camera alle ultime elezioni politiche, più di settemilioni al Senato. Trentamila! Un'enormità. Più di trentamila cittadini, tra una faccenda e l'altra, ancora in pigiama o tra una portata e l'altra della cena, hanno trovato il tempo di cliccare sul suo nome. Ispezionate con cura la figura di questo giovane uomo baciato dal successo. Cercate di intravedere quei fili quasi invisibili che si dipartono dalle sue braccia, dalle sue gambe, dalla sommità del suo capo, che lo rendono bella marionetta, splendido pupo. Scrutate questo ragazzo in divisa, perfetto soldatino sempre obbediente, sempre ligio agli ordini. Ammirate la sua unicità, la sua perfetta mediocrità, la sua assoluta dedizione alla causa, la sua malcelata sfrontatezza, la sua immensa ambizione. Il suo sorriso splendente e falso. Scrutate il candidato con ancora più impegno, non stancatevi di farlo. Guardatelo ma impedite che egli parli: il ragazzotto è dotato di buona, anzi ottima favella; ma la sua è favella storpia, da massacratore di congiuntivi, da dispensatore di luoghi comuni e aria fritta, da frequentatore di bar eleganti.
Scrutate per un'ultima volta Luigi Di Maio, il candidato, il politico rampante, il disoccupato eccellente, l'analfabeta di ritorno, il piacione, poi rispondete a questa domanda: comprereste un'auto usata da quest'uomo?

sabato 23 settembre 2017

INTERVISTA CON IL MOSTRO


The shape of water (La forma dell'acqua) è il film del regista messicano Guillermo Del Toro che ha vinto la 74° edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Siamo riusciti a parlare con il protagonista del film, il Mostro, che ci ha rilasciato questa breve ma significativa intervista.

Il Mostro ci riceve nella sua lussuosa suite d'albergo, in una città che ci è stato chiesto di non indicare. È seduto su un divanetto. Indossa grandi occhiali scuri, ha il cappuccio dell'abbagliante accappatoio bianco calcato sul capo. I piedi (piedi?) calzano morbide pantofole di spugna. Il Mostro spegne il sigaro, beve un sorso di scotch, incrocia le braccia sul petto e si accinge a rispondere alle nostre domande.

Signor Mostro, si aspettava questo successo?
Ci speravo, anche se le cose sono andate oltre le mie migliori aspettative. Gran parte del merito comunque spetta a Guillermo, che ha perseguito con ostinazione il suo progetto, e che soprattutto ha creduto in me.
Presumo che tale ringraziamento non possa essere esteso alla produzione.
(si rabbuia). No, direi proprio di no.
Il suo nome non appare nei titoli di coda.
No. I produttori hanno preferito far intendere che a interpretare la mia parte sia stato un attore. Naturalmente il bluff è durato poco.
Si è trattato di un'operazione pubblicitaria?
Assolutamente no! È stata una scelta precisa. Ero considerato adatto per il film, ma scomodo e ingombrante per la promozione dello stesso. Sono pur sempre un Mostro, no?
Lei proviene da una famiglia di attori.
Non proprio. Mio padre era un operatore finanziario. Un essere schivo, riluttante a mostrarsi in pubblico, neppure camuffato. È morto ancora giovane, a causa di una ictioftiriasi mal curata.
Suo nonno?
Sì, lui era un attore. Fu il protagonista de Il mostro della laguna nera, un film di grande successo, considerato un autentico capolavoro, una pellicola di culto. Mio nonno visse un breve momento di fama. Recitò ancora in altri due film, La vendetta del mostro e Terrore sul mondo, che non ebbero però la fortuna del primo. Dopo, nessun regista lo chiamò più e lui cadde in un profondo stato di depressione. Iniziò a bere. Soltanto l'alcol e lo stordimento che gli provocava riuscivano a fargli dimenticare quel periodo di grande popolarità che non sarebbe ritornato più. Fu trovato morto nella vasca da bagno, affogato. Una fine molto amara, quasi beffarda per un uomo-pesce.
Nel film sono presenti delle scene d'amore. Ha provato imbarazzo nel girarle?
(ride) Vuole la verità? Più che imbarazzo ho provato ribrezzo. Mi spiego: Sally Hawkins è una bravissima attrice, ma è piuttosto bruttina. La sua pelle troppo bianca, troppo liscia, mi provocava una certa ripugnanza, che comunque sono riuscito a superare anche grazie all'aiuto di Guillermo. Vede, quando accarezzo una femmina preferisco sentire sotto i polpastrelli la ruvidità delle squame (ride di nuovo).
Quali sono i suoi progetti per il futuro?
Mi piacerebbe non rimanere confinato nelle consuete parti da mostro. Il mio sogno sarebbe quello di interpretare un commissario di polizia. Oppure quello di lavorare con qualcuno dei giovani registi emergenti. Che so, Wes Anderson, Xavier Dolan e, perché no? Alejandro Inàrritu.
Adesso però mi deve scusare, ma devo proprio andare (il mostro si agita sul divano). Ho bisogno di sottopormi a spugnature, la mia pelle si sta asciugando troppo.

domenica 10 settembre 2017

MENTE IN BOCCA


Odio i ricevimenti e le feste in genere, detesto in particolare quelli in cui sono costretto a fare da tappezzeria. Eppure non ho potuto fare a meno di accettare l'invito del mio amico Bill. La schiena addossata a una parete, in mano un bicchiere, il terzo o il quarto drink, osservo Bill impegnato in una animata conversazione, attorniato da un capannello di persone adoranti. Bill è un autentico cervellone. Ci siamo conosciuti all'Università (che io naturalmente non ho ultimato) e la nostra amicizia è durata nel tempo. Lui è una specie di scienziato, si occupa di linguistica, ma ha esteso il suo campo di ricerca anche alla medicina. Il suo ultimo articolo, dove è esposta una stravagante ma innovativa speculazione, è stato pubblicato da una autorevole rivista scientifica e ha suscitato un certo clamore. Il party è in suo onore, e io quel famoso articolo non l'ho neppure letto. Leggere è impegnativo, e poi stanca.
Un'ultima risata generale, poi Bill riesce a staccarsi dai suoi fan (nonché finanziatori) e finalmente mi raggiunge. Sorride, io lo squadro dall'alto verso il basso (il mio amico è un nanerottolo grasso), poi sollevo un sopracciglio.
"Stavi raccontando barzellette?" gli chiedo.
"Che dici? Lo sai che disprezzo le barzellette!" Bill è del tutto privo del senso dell'umorismo.
"Dunque?"
"Stavo esponendo la mia teoria. Sono convinto che non abbiano capito nulla. Non importa, l'importante è che continuino ad aprire i portafogli".
"Già". Finisco di scolare lo scotch, quindi afferro un altro bicchiere da un cameriere di passaggio.
"E tu, che ne dici della mia teoria?" domanda il mio amico.
"Oh, non ho ancora avuto modo di approfondire... Sai, il mio lavoro..."
"Quale lavoro?"
"Falla finita, Bill. Esponimi le tue conclusioni. In parole semplici, per favore".
Lui sorride, poi mi strappa il bicchiere dalla mano e ingolla un robusto sorso. Me lo restituisce.
"Hai presente un computer?"
"Certo che ce l'ho presente".
"Un computer possiede una memoria molto capace, in grado di immagazzinare una quantità di dati che noi non riusciamo neppure ad immaginare".
"Uh, uh".
"Le persone comuni utilizzano i computer, e le loro memorie, all'uno per cento. Non di più".
"Bene".
"Che cosa può essere comparato a un computer?"
"Non lo so, Bill".
Il mio amico sospira.
"Il cervello umano" dice.
"Anche il cervello umano viene utilizzato non più che all'uno per cento della sua capacità" aggiunge.
"Sul serio?"
"Certamente. È come se noi disponessimo di una immensa memoria e ci limitassimo a utilizzarne una parte che può benissimo essere contenuta in una pen drive".
"Eh? Pen drive? Che dici, Bill?"
Un altro sospiro. Di impazienza ma, mi accorgo, anche di compatimento.
"Una chiavetta".
"Ah!".
"Ma il problema non è questo" riprende Bill.
"No?"
"No. Il problema non è il minimo utilizzo del cervello. Il fatto è che la maggior parte degli individui il cervello non lo utilizza affatto".
"Chi lo dice?" domando.
"Lo dicono i miei studi, le mie ricerche".
"Però!"
"Queste persone si servono soltanto di una piccola memoria aggiuntiva, uno strumento periferico, del tutto slegato dall'attività del cervello, che nel loro caso è nulla".
"Non ti seguo, Bill".
"Come sai, i miei studi si limitano soprattutto al linguaggio. Dopo anni di ricerche ho scoperto che la generalità delle persone adopera una quantità di vocaboli che va da trecento a quattrocento. E queste informazioni, utilizzate per comunicare, non provengono dal cervello, bensì dalla bocca".
"Eh?"
"È così. Non più di quattrocento vocaboli, che vengono di continuo rimescolati e ricombinati a formare delle frasi che, come puoi immaginare, consentono di esprimere soltanto pensieri elementari e superficiali. Negli ultimi tempi la situazione è ancora peggiorata. La frenesia della vita attuale, l'esigenza di sintesi, la nascita di strumenti di comunicazione quali i messaggi brevi, l'imposizione al compendio dovuto all'espansione delle reti sociali virtuali, tutto ciò contribuisce sempre di più alla riduzione di numero e alla semplificazione dei vocaboli impiegati. Anche nelle poche occasioni in cui capita di parlare a quattr'occhi bisogna dire tutto in fretta. L'interlocutore sente ma non ascolta, non vede l'ora di dire la sua, di sovrastarti. La conseguenza è che tra qualche tempo impareremo a dire tutto utilizzando non più di duecento parole. Ma questa è soltanto la premessa della mia teoria. Io mi sono concentrato anche sugli aspetti fisiologici della questione e mi sono domandato dove può risiedere questa piccola memoria aggiuntiva, l'unica adoperata da quasi tutti gli individui."
"La risposta?" Ormai sono un po' confuso.
"Nella bocca, si trova nella bocca. La maggior parte delle persone non soltanto parla con la bocca, ma pensa anche con la bocca!"
"Ma..."
"So che cosa stai per chiedermi. La mia ipotesi principale prevede che - nella lingua, nella laringe oppure in un altro organo della fonazione - si siano sviluppate oltre misura delle terminazioni nervose in grado di archiviare una seppur minima quantità di informazioni, le famose quattrocento parole. La risposta definitiva la dovrà dare il team di fisiologi che collabora alle mie ricerche".
"Ma..."
"Lo so che cosa stai pensando, e credo tu abbia ragione. La maggior parte degli esseri umani vive con il cervello spento, non lo usa, ha imparato a farne a meno".
"Però!" La mia confusione ormai è totale.
"Allora? Che ne dici della mia teoria?"
"Come?"
"Ti sto chiedendo che cosa pensi dei miei studi".
"Eh? Non lo so, proprio non lo so".
Il viso di Bill si accende all'improvviso.
"Non lo so! Non lo so! Non sai dire altro! Non puoi esprimere i tuoi pensieri in maniera un po' più complessa? Non dirmi che sei diventato uno di quelli!"
"Eh? Uno di quelli? Dici?"
Poi Bill si calma e inizia a osservarmi con un certo interesse.
"Senti, perché domani non passi a trovarmi in laboratorio?" dice.

sabato 9 settembre 2017

MIGRANTI


La strada provinciale che conduce all'aeroporto è molto trafficata. Lungo il suo lato destro si estende un ampio prato. L'erba, corta e secca, stremata dalla calura estiva e dalla siccità, è di color giallo sporco. Soltanto qua e là si intravede qualche chiazza verde pallido. Quando sul campo scorgo una moltitudine di puntini bianchi rallento e poi mi fermo a osservare. Con meraviglia noto che si tratta di esseri viventi. Sì, sono loro, sono proprio loro: sono i migranti. Sono davvero tanti, e sono immobili. Si sono fermati in quella terra di nessuno, bordata di strade, incuranti del boato degli aerei che decollano e atterrano di continuo, perché sono stanchi. Hanno bisogno di riposo, devono recuperare le energie prima di riprendere il loro viaggio, il loro lungo viaggio, un viaggio rischioso e pieno di pericoli. Perché andarsene? Si parte perché l'istinto dice di farlo, perché non esistono alternative, perché è in gioco la sopravvivenza. Si va verso terre e luoghi più ospitali, dove è possibile trovare il cibo, condizioni di vita migliori, dove sarà possibile riprodurre la vita. Partono e sanno che niente e nessuno potrà fermarli. Per loro non esistono barriere e confini, non ci sono frontiere, non ci sono muri che possano arrestarli, non ci sono leggi più o meno giuste che possano impedire la loro migrazione. Partono in tanti, ma non tutti giungeranno alla meta. Le tappe del viaggio sono tante, e ancora di più sono le insidie. Qualcuno di loro, già stremato, non riuscirà neppure a ripartire da quel prato con l'erba bruciata, altri moriranno dopo, in qualche terra desolata, altri ancora saranno accolti dal mare, che sarà il loro sudario. Partono e continueranno a farlo perché loro non hanno cittadinanza, perché loro non appartengono a nessun paese, a nessuna nazione, perché la loro terra è il mondo intero.
Smarrito nei miei pensieri, quasi mi perdo una scena straordinaria. Qualcuno, tra i migranti, ha lanciato un impercettibile segnale. È un attimo, e il cielo si oscura. La nube si scaglia verso il cielo, nugolo immenso di piccoli esseri che sbattono le ali come forsennati. Il lungo viaggio riprende, su in quel cielo azzurro che a ogni istante che trascorre sta diventando sempre più freddo.