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sabato 28 maggio 2016

RITORNO A SCUOLA


Il ragazzo ha trascorso l'intera estate correndo tra i campi, da solo o in compagnia dei suoi cani. Ha visto trebbiare il grano e ha preso parte all'ultima fienagione. Adesso è tutto finito, è arrivato il momento del ritorno a scuola.
Quel mattino si desta a fatica. Con gli occhi ancora cisposi siede al tavolo per la colazione. A differenza dei giorni precedenti, non ha fame. Manda giù qualche biscotto, beve un po' di latte, poi si veste. Indossa una maglietta a righe orizzontali un po' fuori moda, con le punte del colletto troppo lunghe, poi infila i calzoni di cotone leggero stirati alla perfezione. I capelli, che non ha lavato, avrebbero bisogno di una aggiustata.
"Vai dal barbiere!" Sua madre ha trascorso l'intera ultima settimana a pronunciare quell'esortazione ma lui non ne ha voluto sapere. Adesso, mentre si osserva allo specchio, è pentito. Ma è troppo tardi.
"Vuoi che ti accompagni?" domanda suo padre, premuroso. Lui rifiuta. Preferisce camminare, per cercare di alleviare quella strana tensione nervosa che lo sta assalendo. Sta per iniziare il secondo anno delle superiori, non il primo. Non dovrebbe sentirsi così in apprensione.
Quando arriva nel piazzale della scuola tutta quella folla lo confonde. Il rumore delle voci è assordante. Le risate e gli schiamazzi lo stordiscono. Scorge Giulio, che l'anno prima è stato suo compagno di banco, e si avvicina a lui. Gli sembra più alto, più grosso, più uomo. Giulio quasi non gli dà retta, impegnato com'è a guardarsi attorno, a salutare altri ragazzi.
"Avremo dei compagni nuovi" dice all'improvviso, poi si distrae di nuovo.
Inizia l'appello delle classi. Il ragazzo sente pronunciare il numero e la lettera che corrispondono alla sua e si avvia su per lo scalone, entra nell'atrio. Nessuno dei suoi vecchi compagni, a parte Giulio, lo ha salutato.
Entra in classe, la stessa vecchia aula, e si accomoda allo stesso banco. Giulio invece si siede in un altro banco, giù in fondo. Il ragazzo osserva i suoi compagni, quasi non li riconosce. Quando vede Giuseppe rimane meravigliato. Lo zimbello della classe sembra un'altra persona. È più alto di almeno dieci centimetri, o quasi, e non è più grasso. Anche il suo viso si è trasformato. Le sue gote non sono più paffute bensì affilate e ricoperte da una lieve peluria. Non indossa più il solito maglione informe ma una camicia portata fuori dai pantaloni e dei jeans sbiaditi. Subito alcune ragazze gli si avvicinano. Lo toccano, lo baciano, scherzano con lui. Le ragazze! Le ragazze, le sue vecchie compagne, fanno paura per come sono abbigliate e truccate e per come si muovono sicure. Il ragazzo vede alcune facce nuove, i nuovi compagni di cui parlava Giulio. Sono nuovi perché l'anno precedente sono stati bocciati. I loro volti tuttavia non sono contriti come dovrebbero essere ma allegri. Tutti si affollano intorno a loro, li vogliono conoscere. Sono trattati come degli eroi. Nota in particolare una ragazza un po' robusta, con la pelle scura e lunghi capelli neri. Parla e parla e gesticola, sembra impegnata in un comizio. Cazzo, sembra mia madre, pensa il ragazzo.
Alla fine nessuno dei compagni si è seduto accanto a lui. Nemmeno uno di loro è venuto a parlare con lui, a chiedergli come aveva trascorso l'estate.
Suona la campanella, la prima ora di scuola del secondo anno sta per iniziare. Sarà un anno lungo, pensa il ragazzo, sarà un anno lungo e pieno di sofferenza. Durante quell'estate che a lui è sembrata così meravigliosa e spensierata si è prodotto un danno. Lui ha perso qualcosa, è rimasto indietro rispetto a tutti gli altri. E recuperare è sempre difficile.

domenica 15 maggio 2016

I GIUSTI


Ogni giorno, al risveglio, il suo primo pensiero è sempre lo stesso: la fine del mondo. L'uomo, dopo avere aperto gli occhi, si domanda mattino dopo mattino perché l'umanità, a dispetto della sua natura corrotta e malvagia, continui a esistere. La risposta è sempre la stessa: il merito è dei giusti, una esigua minoranza di esseri illuminati i quali, con i loro piccoli e in apparenza insignificanti atti quotidiani, rallentano e impediscono la folle corsa del genere umano verso l'autodistruzione.
L'uomo si alza e apre la finestra. Osserva le persone che camminano per la strada, si chiede se fra loro ci sia qualche giusto. Forse sì, oppure no. Loro sono così pochi. Non ne hai mai incontrato uno, o non è stato in grado di riconoscerlo.
L'uomo si avvia in bagno e, mentre si rade, guarda la propria immagine riflessa nello specchio. Il volto che vede, stanco e sofferente, con gli occhi ancora gonfi di sonno, è quello di un giusto? Non sa rispondere con esattezza, ma pensa di no.
Poi afferra la borsa ed esce per andare al lavoro. Durante il tragitto verso l'ufficio si ferma in un bar per fare colazione. Le persone che lo circondano sembrano tutte avere fretta. Ognuna di loro non bada agli altri. Tutti guardano senza vedere, concentrati soltanto sui propri impegni, chiusi nel proprio  egoismo, prigionieri della loro indifferenza. No, tra di loro non c'è nessun giusto, ne è sicuro.
Quando l'uomo arriva in ufficio si sente già stanco. L'umanità, da un po' di tempo, lo affatica. Si domanda se tra i suoi colleghi di lavoro possa esserci qualche giusto. Frequenta quegli uomini e quelle donne da tanto tempo, ne conosce i pregi e soprattutto i difetti. Nessuno di loro si distingue per bontà o generosità o per qualche altra rimarchevole qualità. In apparenza, comunque, sembrano essere tutti brave persone. Invece, appena offre loro la schiena, l'uomo viene pugnalato senza pietà. Nessuno di loro è un giusto. E neppure lo è il suo capo, un uomo che pensa soltanto a se stesso, al suo gretto tornaconto, che non perde occasione di umiliare i suoi collaboratori, di sopraffarli, di farli sentire inadeguati.
La giornata di lavoro trascorre lenta, vuota e triste. Finalmente giunge l'ora di scappare da quella prigione, la pena è sospesa fino all'indomani.
L'uomo si ritrova di nuovo per strada, tra le gente che cammina intorno a lui, fredda e distaccata. Cerca di incrociare gli sguardi delle persone, di cogliere in quella moltitudine di occhi indizi di amabilità, scintille di nobiltà umana, schegge di integrità. Invano. Rassegnato e sconfortato, l'uomo si dirige mesto verso casa. Un altro giorno è trascorso, un altro giorno inutile. Non ha incontrato nessun giusto. Si augura che non siano tutti scomparsi, che qualcuno di loro ci sia ancora, che continui ad agire per il bene dell'umanità. In caso contrario, la fine del mondo sarà prossima e inevitabile.

sabato 7 maggio 2016

IL LIBRO DEI VOLTI


Esco di fretta dal negozio e mi scontro con una donna che sta entrando. Tutte le mie attività quotidiane si svolgono sempre in maniera frenetica anche se non ne conosco il motivo. In realtà, posseggo tutto il tempo del mondo. Mentre tento di scusarmi noto che la donna mi fissa.
"Mario!" esclama, raccogliendo la borsa che le è caduta a terra.
Anch'io la riconosco. Anzi, in verità l'avevo individuata fin da subito, tuttavia avrei preferito allontanarmi con rapidità, evitare di dover parlare con lei.  
Valeria è stata mia compagna di scuola alle superiori. Sono almeno dieci anni che non ci incontriamo. Un tempo, confesso, lei mi piaceva. Ora non più. Non so bene chi o che cosa mi sia gradito adesso.
"Sono davvero contenta di vederti" dice lei mentre io continuo a stare zitto.
"Hai tempo per un caffè? Dai, dieci minuti" aggiunge. Mi indica un piccolo bar a due passi dalla panetteria. Ci sediamo a un tavolino posto sul marciapiede. Ordiniamo.
"Allora, come te la passi?" domanda, ma non mi lascia il tempo di rispondere.
"Io mi occupo di pubbliche relazioni per alcune grandi discoteche. Sai, organizzo eventi e cose così, insomma. Si tratta di un lavoro interessante, sono sempre in contatto con tante persone, con artisti, cioè, artisti per modo di dire. In ogni caso si tratta di un'attività stimolante, che mi coinvolge completamente e mi appaga, che mi permette di esibire tutta la mia creatività. Ti ricordi quant'ero estrosa a scuola? Insomma, sono soddisfatta. E tu? Su, dimmi qualcosa di te. Che cosa fai?"
Stordito dalle tante parole e dalla sua voce penetrante rimango muto.
"Allora?"
"Niente, non faccio niente" rispondo alla fine.
Risata nervosa da parte sua.
"Non stai lavorando?" chiede.
"No, adesso no".
"Sei stato licenziato?"
"Licenziato? Oh, un sacco di volte. Più o meno ogni due o tre mesi".
Lei non sa più che dire, è rimasta a bocca aperta. Io aspetto.
"Mi spiace" dice. "A scuola eri il più bravo di tutti".
Annuisco. Lei, con gesti inquieti, inizia a raccogliere le sue cose posate sul tavolino: il telefono, gli occhiali da sole, la sciarpa di seta. Poi accenna ad alzarsi.
"Dobbiamo rimanere in contatto" dice, finendo di bere il caffè.
"Come?"
"Eh? Ascolta, sei iscritto a Facebook?"
"Sì".
"Bene, allora mandami una richiesta di amicizia".
"L'ho già fatto" rispondo. "Quattro anni fa".
"Davvero? Oh, scusami se non ti ho risposto".
"Mi hai risposto".
"Sul serio? Non lo ricordavo più. Su Facebook ho più di tremila contatti. Sai, con il mio lavoro..."
"Ho inviato la richiesta di amicizia a tutti gli ex compagni di scuola, quelli dell'ultimo anno. Soltanto tu mi hai risposto".
"Ah, sono contenta. È strano che non ti abbia riconosciuto. Hai inserito una foto recente?"
"No, l'immagine di un orsacchiotto".
"Un orsacchiotto? Capisco. In ogni modo non ho mai visto nulla di te su Facebook. Non sei  molto attivo, vero?"
"Non ho mai scritto nulla" dico.
"Perché? È così divertente!"
"Non lo so".
"Puoi scrivere qualsiasi pensiero ti passi per la testa".
"Non credo che agli altri interessi ciò che penso io".
"Dici? Allora puoi inserire tue fotografie, quelle delle vacanze per esempio. Io lo faccio sempre. Le hai mai viste?"
"Sì, le ho viste".
"Non ti piacciono?"
"Sono tristi".
Lei si rabbuia.
"Le mie foto delle vacanze sono tristi?"
"Non soltanto le tue, tutte. Le persone tutti gli anni pubblicano sempre le stesse immagini. I luoghi sono sempre gli stessi, mentre i volti e i corpi cambiano, invecchiano, sono sempre più segnati dal tempo che passa. Se invece le stesse persone le incontrassi di persona tutti i giorni, o quasi, non mi accorgerei del tempo che trascorre, mi sembrerebbero sempre uguali, sempre giovani".
"Forse hai ragione, eppure non riesco a fare a meno di..."
"...di esibirti su Facebook? Di mostrare il nulla che c'è dietro ai tuoi pensieri, ai tuoi commenti? Di ostentare la tua nuova mostruosa acconciatura?"
Valeria si alza di scatto.
"Ma come ti permetti?" dice, alzando un po' troppo la voce.
"Ho detto la verità".
"Sei sempre il solito sfigato e depresso!" strepita, puntandomi un dito contro. Noto che l'unghia è finta.
"Scusami" mormoro. Forse l'ho fatta grossa. Purtroppo non riesco a controllare queste botte di sincerità che di frequente mi assalgono.
"Scusami il cazzo! Sai che cosa farò? Ti toglierò l'amicizia su Facebook. Così la smetterai di fare il guardone!" E se ne va sbattendo i tacchi. Il mio caffè è ormai freddo.