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domenica 16 febbraio 2014

OMBRELLI


La prima grassa goccia d’acqua mi colpisce proprio la punta del naso. Ci siamo, sta iniziando a piovere. Alzo gli occhi al cielo e lo scorgo plumbeo, minaccioso. Quasi nello stesso istante qualcosa inizia ad agitarsi all’interno della borsa che porto con me. Un movimento scatenato che ne altera la forma. Imbarazzato mi guardo attorno ma nessuno, tra i rari passanti che incrocio, sembra aver notato quella evidente espressione di impazienza. E poi ancora sbuffi e gemiti, soffi e ansimi. Allora mi arresto, apro la borsa ed afferro l’ombrello. Sento un profondo sospiro di sollievo quando lo estraggo e ne aziono il pulsante. Lui, scattante come non mai, si lancia ad affrontare l’improvviso acquazzone. La sua irrequietezza finalmente si placa, e ritrova la pace. Si sa, gli ombrelli adorano l’acqua, la anelano.
Riprendo il cammino e mi soffermo su quell’oggetto che stringo nella mano, osservo la sua compostezza, la sua estrema serietà nell’affrontare quel compito che ne costituisce l’unica ed esclusiva ragione di vita. Rifletto sulla sua forma: un’impugnatura di legno, un lungo manico, delle esili ed elastiche stecche e una tela più o meno impermeabile. Poco o nulla, in lui, si discosta dal progetto originario. Il suo aspetto è molto simile a quello dei suoi lontani antenati, l’evoluzione della sua specie è stata molto lenta, quasi irrilevante. Eppure viviamo in un’epoca dominata dalla tecnologia, dove tutto cambia e si trasforma in maniera rapida, dove imperversa l’elettronica sempre più sofisticata. Lui, invece, è rimasto quasi uguale. Nessuna grande mente ha trovato un attimo di tempo per dedicarsi a innovare quell’arcaico progetto. Le grandi multinazionali non sembrano avere alcun interesse in tal riguardo. Nel corso del tempo l’unica innovazione è stata l’apertura automatica, miglioramento che ormai risale a tanti anni fa. Poi più nulla. Il povero ombrello non è in grado di richiudersi da solo, o quasi. Per ciò necessita dell’aiuto umano, ha bisogno di mani che, lordandosi d’acqua, lo costringano alla posizione di riposo. E poi la sua tela non repelle completamente il pioviggine, occorre aspettare che si asciughi, e nel mentre piccole pozze si allargano alla sua base provocando disagio.
La pioggia aumenta d’intensità, mi sferza dai lati. La combatto inclinando l’ombrello, il quale asseconda i miei gesti con grande maestria, con mestiere. Si piega ma non si spezza, resiste.
Scruto quell’oggetto strano e buffo che impugno con un misto di ammirazione e tenerezza. È ancora in grado di svolgere alla perfezione il suo incarico, nonostante sia così primitivo.