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venerdì 25 novembre 2011

STATI DI CONFUSIONE



Stati di confusione
Aperture luminose orientate verso il futuro
Dolci amari ricordi
Visioni calde
Tormenti oscuri avvolti nel tempo
Risvegli angosciosi
Soavi beatitudini notturne
Sensi di nulla
Dubbi incertezze paure rimorsi
Stati di confusione

giovedì 24 novembre 2011

MAI PIU' BLU



Sto morendo. Lentamente. Sto morendo.
Le operazioni che costituiscono l’azienda
Ero azzurro. Ora non più. Ero azzurro.
traggono origine dalle energie personali
In me c’era la vita. Desolazione. C’era la vita.
applicate alla ricchezza; le persone e i beni
Ero felice. Limpide profondità. Molto felice.
sono gli elementi fondamentali
Sono sporco. Assassini. Sono sporco.
che danno vita all’azienda.
Ero forte. Vaste distese. Ero forte.
I due aspetti del capitale talora si
Siete stati voi. Odori nauseabondi. Voi.
integrano e si completano perché in alcuni
È la fine. La pagherete. Ormai è la fine.
momenti della vita dell’azienda è opportuno
Mai più blu. Guizzi dorati. Mai più blu.
perfezionare la conoscenza qualitativa dei beni
Solo fango. Cumuli osceni. Soltanto fango.
con la conoscenza del capitale visto come una
Morirete anche voi. Addio. Moriremo tutti.

domenica 20 novembre 2011

ARIA PURA



Sgombriamo subito il campo da un paio di ingannevoli asserzioni. La nascita del nuovo governo non implica, come invece è stato detto da qualcuno in assoluta malafede, alcuna sospensione della democrazia. Tutto si è svolto secondo il pieno rispetto delle regole costituzionali e delle prerogative del Presidente della Repubblica. La nostra è una repubblica parlamentare. I governi non sono eletti direttamente dai cittadini, e tantomeno lo sono i Presidenti del Consiglio. L’esecutivo vive in virtù della fiducia accordata dal Parlamento, e dura finché tale credito non viene meno. Se una maggioranza parlamentare non è più in grado di sostenere un governo, è facoltà del Capo dello Stato esplorare tutte le strade possibili per garantire la formazione di un nuovo esecutivo. Soltanto nel caso in cui  tale tentativo risulti vano diventa inevitabile e improrogabile il ricorso alle urne.  In considerazione di tutto ciò è palese che sia impossibile determinare, a priori, la durata di un governo.
Nel caso in esame le eccezioni sono invece rappresentate da fatti ben diversi. Innanzitutto il tipo di governo, costituito interamente da ministri tecnici. La politica e i partiti hanno fatto, necessariamente, un passo indietro. E ciò non per benevolenza, bensì per evidente inadeguatezza al ruolo. La politica, dunque, ha fallito. Così come hanno fallito i cittadini, che non sono stati in grado di operare delle scelte opportune. Questo è bene ricordarlo sempre.
Il Paese è sull’orlo del baratro e l’ultima risorsa, nonché l’ultima opzione, è quella di affidarsi a tecnocrati la cui competenza è indiscutibile. Le capacità tecniche saranno tuttavia sufficienti per traghettare il Paese fuori dalle secche? Allo stato attuale non è possibile dirlo, le variabili in campo sono troppe.
Il nuovo governo gode dell’appoggio, sebbene in presenza di rilevanti riserve, della quasi totalità del Parlamento. Ed è proprio questa l’altra anomalia. I principali partiti, che per anni si sono combattuti in maniera aspra, esasperando conflittualità e divisioni, si ritrovano insieme a sostenere questo nuovo esecutivo per alcuni versi un po’ singolare. Il rischio di veti incrociati che ne potrebbero paralizzare l’attività è piuttosto elevato. D’altra parte nessuno vorrà assumersi la responsabilità di una sua caduta, che avrebbe conseguenze nefaste sia per quella forza politica ma soprattutto per il Paese stesso, condannato al fallimento. Un equilibrio precario, dunque, dentro al quale il nuovo Presidente del Consiglio dovrà operare con estrema circospezione. In ogni caso, la mancanza di alternative e il persistere della crisi economica potrebbero rappresentare proprio il punto di forza dell’esecutivo, a patto che le decisioni siano rapide, opportune, efficaci e soprattutto eque. Sarà inevitabile sopportare sacrifici, a patto che tali sofferenze siano ripartite in modo imparziale tra tutti gli strati della società. Chi ha di più dovrà contribuire in maggiore misura. Chi, pur avendo poco, ha già dato molto, dovrà essere risparmiato. Non è pensabile rimandare ancora le politiche ridistributive di cui il nostro Paese ha ineludibile bisogno. In caso contrario risulteranno del tutto inutili le scelte, anche quelle non più rinviabili, a favore della crescita.  
Qualsiasi cosa accada comunque una cosa è certa: in un modo o nell’altro abbiamo voltato pagina. Di sicuro, nella forma. Basta bunga-bunga, barzellette, attacchi ai magistrati e alle istituzioni; basta insulti, leggi personali, menzogne o affermazioni ridicole. Basta servi sciocchi, pernacchie e offese.
Naturalmente la forma non è tutto, ma può essere un buon inizio da cui ripartire. Poi, forse, verrà anche il resto.

martedì 15 novembre 2011

SPREAD RUNNING



Corre, lo spread corre. Oh come corre!
Berlusconi: “L’Italia è il paese che amo.”
Una lunga distesa pianeggiante. Lo spread accelera.
Berlusconi: “L’Italia è il paese che ho distrutto.”
Il concorrente francese e quello tedesco sono ormai dietro. Sorridono.
Bossi: “La Lega si rifarà la verginità perduta. Prrr…”
Avanti, sempre avanti, aggredendo la strada.
Bossi: “Secessione. Il parlamento del nord. I nostri ministeri! I fucili! Fanculo il tricolore! Prrr… Prrr…”
Lo spread è sulla scia del portoghese. Aumenta l’andatura. Lo supera.
Casini: “È necessario che tutti siano consapevoli della gravità del momento. Occorre salvare l’Italia. Basta giochini.”
È di nuovo solo. Le gambe girano bene.
Casini: “Freghiamo gli elettori al Pd oppure a quel pirla di Berlusconi? Perché non a entrambi?”
Davanti a lui c’è un’ombra, è ancora lontana, ma la distanza si riduce. Lo spread sbuffa, incassa le spalle e aumenta l’andatura.
Fini: “C’è bisogno di politici con senso dello Stato, e che abbiano a cuore la legalità e il rispetto per le istituzioni.”
In discesa. I muscoli sono contratti, un po’ affaticati. Occorre soffrire.
Fini: “ Dimissioni, dimissioni. Ma alla fine si è dimesso quel gran coglione. Se non ci fossero tutti ‘sti casini me ne andrei volentieri qualche giorno a Montecarlo…”
Supera di slancio lo spagnolo e quasi non se ne accorge. Lo spread ora si sente di nuovo bene. La sua corsa è tornata fluida.
Bersani: “Il momento è gravissimo. Ognuno dovrà assumersi le proprie responsabilità. Fino in fondo.”
Non manca molto. L’importante è distribuire bene le ultime energie.
Bersani: “E adesso che cazzo facciamo? Ooohhhiiii….”
Una salita. Lo spread è sorpreso, proprio non se l’aspettava. Una smorfia.
Di Pietro: “Appoggio no ma anche sì. Valuteremo la squadra e i programmi, oppure no. O forse sì.”
Monti, monti e ancora monti. Piano piano li scala tutti. Lui, lo spread, non molla mai.
Di Pietro: “Governo a tempo, poi il voto. Oppure il referendum, poi il governo. No, referendum, governo e voto…”
Il terreno ridiventa pianeggiante. Quanti ce ne sono ancora davanti? Uno, uno solo, gli dicono. Lo spread sogghigna.
Vendola: “Un mezzo appoggio, un appoggino. Un appoggio a parole, che tanto di deputati non ne ho. Aspettate che accendo il generatore automatico di discorsi e poi…”
Eccolo! Ormai lo vede. Lo spread deve fare un ultimo sforzo. Può ancora vincere, anche se non manca molto.
Vendola: “La sinistra deve mescolare lo spasimo della partecipazione con la carne della testimonianza, sradicando non soltanto gli stigmi umanitari ma… Ma che sto dicendo? Non mi capisco!”
È scoppiato, barcolla, sembra sul punto di svenire. Non lui, lo spread, ma l’altro, il suo avversario. Il concorrente greco stramazza a terra ed è superato proprio in prossimità del traguardo.
Lo spread ha vinto.
Il nostro.

domenica 13 novembre 2011

FINE



È finita, finalmente è finita.
Ieri, con l’ultimo formale atto delle dimissioni, ha avuto fine la parabola politica di Silvio Berlusconi.
Abbiamo visto, in serata, la rappresentazione di un uomo finito, distrutto, umiliato ma colmo di astio e rancore.
Sono sfilate davanti a noi le immagini di una folla plaudente, gioiosa. In linea di principio sarebbe esecrabile infierire sui vinti, mortificarli. In ogni caso le manifestazioni di tripudio cui abbiamo assistito sono state diverse rispetto a quelle che hanno caratterizzato  l’epilogo di un’altra stagione tormentata e controversa della nostra storia, quella conclusa vent’anni fa da Bettino Craxi. Allora a prevalere era stata soprattutto la rabbia, accompagnata da una violenza a stento trattenuta. Stavolta il predominio è spettato alla felicità e alla contentezza.
In fondo, il motivo della caduta è rimasto lo stesso della famosa “discesa in campo”. Vale a dire il desiderio, da parte del Cavaliere, di tutelare se stesso e le sue aziende. Una sorta di beffardo contrappasso. Il permanere dell’enorme conflitto di interessi, mai risolto, ha determinato la risoluzione di una spregiudicata avventura politica durata troppo a lungo. Se all’epoca Berlusconi, entrando in politica, era riuscito a risolvere i problemi legati all’eccessivo indebitamento delle proprie aziende, ora è stato costretto ad arrendersi per impedire che il suo impero crollasse. Si è reso conto, all’improvviso, di non essere più nella condizione di poter tutelare le sue attività, che rischiavano di essere travolte insieme all’intero sistema economico del Paese. Questo è stato il vero punto di svolta. A Berlusconi non è mai importato nulla dell’Italia, e tantomeno del suo partito – semplice strumento operativo - che non ha esitato a sacrificare in favore dei soliti interessi personali. Fino all’ultimo ha cercato di stabilire condizioni, di non far apparire una sconfitta come una disfatta personale. Ma ormai non era più in grado di imporre nulla e la resa è stata totale.
La fine politica dell’uomo tuttavia non significa automaticamente la conclusione della distorta ideologia che ha accompagnato la sua azione. Il berlusconismo è penetrato in profondità nell’animo e nei sentimenti di una gran parte del popolo e continuerà a produrre i suoi nefasti effetti ancora per molto tempo, attraversando addirittura le generazioni, come già ha fatto. La ricostruzione dell’Italia dovrà essere totale, partendo per l’ennesima volta dalle fondamenta. E l’esito finale è, al momento, assai incerto. Bisognerà procedere a piccoli passi, ed eventuali ricadute saranno sempre possibili. La parte rimasta sana del Paese dovrà vigilare senza sosta e non abbassare mai la guardia.
Il nostro, purtroppo, è un popolo ben strano.



giovedì 10 novembre 2011

PAGELLE



Mi permetto di esprimere alcuni sintetici giudizi sui principali protagonisti della crisi di governo:

BERLUSCONI
Si dimette con quasi un anno di ritardo, rischiando di trascinare il Paese alla bancarotta. Fino all’ultimo bada soltanto ai propri interessi. Messo alle strette, “promette” di lasciare ma senza assicurare tempi certi. I mercati, diffidenti, reagiscono in maniera schizofrenica. Poi grida “al voto!” per cambiare idea subito dopo, turbato dall’andamento della Borsa (e in ansia per le sue aziende) e dal timore che il suo partito di plastica si sgretoli. Non si può escludere, comunque, un colpo di coda finale del caimano o, se si preferisce, il “calcio dell’asino”. Entrambi, in ogni caso, pericolosi.
Voto: non giudicabile.

BOSSI
Da tempo in stato confusionale, non vede l’ora di tornare a fare opposizione… all’opposizione e non stando al governo. Al pari di Berlusconi ha responsabilità gravissime nei confronti del Paese. Il suo partito-movimento appare alquanto sfilacciato. Il mancato appoggio a un governo di emergenza nazionale potrebbe precludere eventuali future alleanze con ciò che rimarrà del PDL alle prossime consultazioni elettorali.
Voto: 3

BERSANI
Si dimostra responsabile e dotato di buon senso anche se non brilla e riesce, seppur con fatica, a mantenere unito il proprio partito.  In più evitando il ricorso alle urne ha la possibilità di rinviare la resa dei conti con gli alleati (quali?) riguardo la scelta del candidato-leader della coalizione di centro-sinistra, questione che da tempo non gli consente di dormire sonni tranquilli.
Voto: 6

CASINI
Tesse la sua tela con consumata abilità e ottenendo il massimo risultato. Riesce, come da tempo desidera, a incrinare il sistema bipolare con la creazione del Terzo Polo. Resiste, coerente e testardo, alle sirene del centro-destra e intavola con il PD un dialogo costruttivo pieno di prospettive future per il proprio partito e per se stesso (Presidenza della Repubblica?).
Voto: 7

DI PIETRO
Un bisonte impazzito che sbaglia tutte le mosse. Cedendo alla demagogia e al populismo, osteggia un eventuale esecutivo di larga intesa, tra la costernazione dei suoi stessi militanti. Non pago, in preda a furore oratorio offende gli omosessuali durante una seguita trasmissione televisiva. Compromette l’alleanza attuale e futura con i democratici. Un disastro. La politica non è il suo mestiere.
Voto: 5

VENDOLA
Intelligente e molto più scaltro di Di Pietro, apre, pur con alcune cautele, all’ipotesi di governo tecnico. Elezioni anticipate gli avrebbero consentito di fare il pieno di parlamentari e di trasformare in realtà il suo movimento che, allo stato attuale, è del tutto virtuale. Dimostra acume politico e saggezza resistendo a tali lusinghe. Risorsa per il futuro, se saprà conservare e confermare l’equilibrio dimostrato in questa circostanza.
Voto: 6

FINI
Galleggia, va a fondo e poi torna ad affiorare. Riesce, in qualche modo, ad attenuare le proprie responsabilità nel disastro del governo Berlusconi, che a lungo ha appoggiato. Alla fine vince il duello personale con il Cavaliere. Enorme soddisfazione.
Voto: 5

SCHIFANI
Grigio e ambiguo, non riesce mai ad emergere dalla cupezza e dall’equivocità.
Voto: 4

NAPOLITANO
Formidabile. L’unico vero statista del nostro disgraziato Paese. In due giorni mette all’angolo Berlusconi, lo costringe alle dimissioni e detta, perentorio, i tempi della crisi. Sfugge ai tentativi dilatori e ai trucchetti del Cavaliere, rassicura i mercati, offre rapide e immediate soluzioni. Dimostra determinazione, rigore, sagacia e grande intelligenza politica. Ammirevole.
Voto: 10

TUTTI GLI ALTRI
Inutili e dannose comparse.
Voto: non giudicabili.

domenica 6 novembre 2011

SANGUE DEL NOSTRO SANGUE


IL MIO NUOVO LIBRO
Si tratta un romanzo che trae spunto da fatti realmente accaduti e ispirazione da una canzone. Ho sentito per la prima volta "Per i morti di Reggio Emilia" di Fausto Amodei più di vent'anni fa e ne sono rimasto molto colpito. In seguito l'ho riascoltata tante altre volte, e in ogni occasione quel testo e la musica che lo accompagna non hanno mai mancato di suscitare in me una profonda emozione. La narrazione, in ogni caso, è opera di pura fantasia, ad eccezione degli eventi riportati nell'ultimo capitolo, ricavati da documenti e testimonianze. Ho cercato di immaginare l'ultimo giorno di vita delle vittime dell'eccidio, persone del tutto normali accomunate dall'amore per la libertà, e di altre persone che, in qualche modo, sono state coinvolte in quei tragici avvenimenti.

I primi commenti:

Una narrazione delicata e morbida, come una coperta di lana adagiata sul cuore che ascolta la storia di gente comune, che lotta nel suo piccolo quotidiano per poter avere un domani. (Loredana Angelini – Sesto San Giovanni)

L’autore riesce ancora una volta ad affascinare i suoi lettori con un’altra bella storia di umanità ed ideali, nella quale il profumo impalpabile del nostro recente passato si fonde alle ansie ed ai dubbi del presente, alla ricerca di risposte che vanno a costituire il senso della vita, il motore delle azioni, le ragioni delle scelte. In una parola: proprio quell’etica di cui abbiamo sempre più bisogno. Se tanti con la scrittura ci si divertono e basta - e fanno pure tante vittime - lui invece le parole le usa per educare, per invitare ad essere migliori. E non è poco. (Carlo Crescitelli – Avellino)

Sangue del nostro sangue, nervi dei nostri nervi... Che commozione! Un libro così ha un sapore un po’ antico, alla Pratolini, ma sarà nuovo ed entusiasmante soprattutto per chi è giovane. Bravo! (Nadia Bertolani – San Secondo Parmense)

Grande scrittura civile, Enzo! Un tratto asciutto, come nei precedenti lavori, accompagna il lettore. Commovente il prologo: l’evanescenza della nebbia e dei martiri con bandiera rossa...quasi colonna sonora della forza narrativa. Grazie per questo dono. (Fiorella Palomba – Roma)

Opera di narrativa davvero originale, basata sul testo di una canzone che si rifà a fatti realmente accaduti. Anche questa volta la penna di Enzo Sopegno ha avuto la capacità di attrarre, non soltanto per lo stile pregevole, ma anche per la capacità di esprimere e narrare sentimenti veri. (Antonello Pellegrino – Vercelli)

Grande commozione nel leggere il tuo lavoro! Per l’accuratezza del narrare e del descrivere ed anche perché nelle ombre dei martiri ho "visto" mio fratello Angelo, partigiano disperso in quella zona, medaglia d’oro della resistenza. (Elena Monciardini – Roma)

Caro Enzo, carissimo Enzo erano anni che non leggevo cose come le tue: splendide. Il calore o il gelo di una vita che ho vissuto. La forza di raccontare i rapporti umani veri anche se ruvidi. Un piacere la lettura del tuo libro, fatto di coraggio. Un abbraccio enorme. (Antonio Pizzoni – Tornate)

Enzo conosce l’arte della narrazione e la forza dei sentimenti, perché entrambe gli appartengono, come ben sa chi ha letto i suoi libri. E coltiva, da sempre, una passione civile che aiuta, nei momenti più bui, a superare il disagio per una vita che sembra sempre più non appartenerci, e noi a lei. E ad ogni lettura dei suoi libri, aumenta la sensazione che davvero abbiamo perso qualcosa di importante. Questo, per me, è indice non solo di buona scrittura, ma di buona vita. (Vanni Spagnoli – Roma)

"Compagno cittadino, fratello partigiano, teniamoci per mano in questi giorni tristi..." Il tuo inchiostro macchia di nero indelebile le fibre dei nostri cuori, la mente ripercorre buia cammini passati, mentre cerca, chiama, grida ancora Speranza... (Laura Bracali – Firenze)

INCUBI



Da qualche tempo ho sviluppato una singolare peculiarità. Allo scopo di illustrarla, farò ricorso a un esempio tratto dalla realtà.
È notte, sono disteso a letto. A un tratto percepisco un movimento accanto a me. Mi volto e scorgo un’ombra scura adagiata al mio fianco. Ne colgo gli impercettibili movimenti, il respiro pesante. Mi immobilizzo, in preda al terrore. Il cuore mi martella il petto. Nella penombra, vedo che quella sagoma ha sembianze mostruose. Riesco addirittura ad avvertire il suo odore, dolciastro, nauseabondo. So per certo che se quell’essere raccapricciante si svegliasse costituirebbe per me un pericolo subitaneo e mortale. Rimango ancora fermo per qualche istante, ormai in preda al panico, vittima di una indescrivibile e ancestrale paura, poi decido che è il momento di intervenire per scongiurare l’inevitabile e orribile epilogo. Risolvo di svegliarmi, e ciò avviene immediatamente. All’improvviso riprendo coscienza, accanto a me non c’è più nessuno, poco alla volta il mio cuore ritrova il suo ritmo normale. L’incubo è rimosso, anche questa volta sono riuscito a viverlo ma, nello stesso tempo, a impedirne la spaventosa conclusione.
Ebbene, è proprio questa la caratteristica cui mi riferivo: la capacità di controllare un sogno angoscioso, di attenuarne ed eliminarne gli effetti. A mio piacimento.
Una caduta improvvisa. Nel nulla. La sensazione di vuoto che attanaglia le viscere. La consapevolezza di uno schianto. La possibilità di interromperla un attimo prima, di salvarsi.
Il percorrere in automobile una strada stretta e tortuosa. Il veicolo che, impazzito, si rifiuta di affrontare una curva e prosegue diritto, verso il burrone; il pedale del freno che, seppure azionato disperatamente, non funziona.
Avere la possibilità di troncare queste visioni cariche d’oppressione, di lenire l’ansia che le accompagna, di ricondurle alla loro reale essenza secondo volontà.
Una scarpa slegata, una semplice scarpa slegata. Un  qualcosa di assolutamente innocuo. Il chinarsi per provvedere. Il non riuscire ad afferrare le stringhe. Il ripetere all’infinito gli stessi inutili gesti e, di colpo, la cognizione di dover fare presto, molto presto. L’incapacità di riuscire, e l’affanno e l’inquietudine, entrambi dolorosi, penosi. La salvifica facoltà di poter porre fine al tormento. Farlo.
L’incubo, purtroppo ricorrente, di trovarsi nel bel mezzo di una guerra appena scoppiata. L’inquietudine repentina che avvolge l’intero essere, e il senso di incredulità e la sensazione di inadeguatezza all’inaspettato evento. L’apprensione. Lo spavento. Lo scatenarsi di forze incontrollabili. Gli enormi carri armati, soldati giganteschi che sparano all’impazzata, il rumore degli aerei e i boati delle bombe. Tutto in pochi minuti. Finché l’agghiacciante scenario non viene spezzato da un comando imperioso. Il risveglio, finalmente, e la salvezza.
Adesso è di nuovo notte. La temo, la notte. Mi sveglio di soprassalto. Ho sentito dei rumori. Forse nell’ingresso, oppure in cucina. Atterrito, mi alzo a sedere sul letto, lo sguardo fisso sul vetro della porta. Dopo pochi istanti, vedo l’ombra. Si muove, circospetta. Grido, ma dalla mia bocca non esce alcun suono. Poi, la maniglia che si muove. L’uomo entra nella stanza. Indossa un cappello, nella mano stringe una pistola. So bene ciò che accadrà. È il momento di dire basta, di fare ricorso al mio dono, di porre fine all’incubo. Ma non lo faccio, indugio. Mi compiaccio della mia esitazione. Intendo, per una volta soltanto, estendere la mia attitudine di controllare il sogno, e dirigerlo verso una conclusione non cruenta, diversa. Lo sparo mi coglie di sorpresa. Un po’. Percepisco in maniera netta il rimbombo, e poi il proiettile che attraversa la mia carne, il contraccolpo sull’addome, la sensazione di freddo che ne segue. Ora basta, però. Non è proprio il caso di proseguire. Occorre svegliarsi, e posso farlo, lo so. Ma ancora esito. È strano vedere il mio corpo esamine e ricoperto di sangue, l’uomo che fugge. È curioso, nonché tragico. Mi appassiono. Non faccio nulla.
Ormai sono trascorsi alcuni giorni. Lo confesso, è stato noioso assistere alla veglia funebre, al funerale, tuttavia non sono intervenuto, non ancora. Ho aspettato. Poi, tutto è finito. Sono qui, in questo spazio angusto,  sepolto sotto qualche metro di terra. In pace. L’incubo prosegue, ma non so più se si tratti di un vero incubo. Perché sono sereno. Da un momento all’altro so che potrei bloccare tutto, che avrei la possibilità di risvegliarmi nel mio letto e di riprendere la mia vita normale. Penso che prima o poi lo farò, ma non so quando. Per ora, va bene così.