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martedì 28 giugno 2011

GUERRA TOTALE




“Silenzio?”
“Silenzio assoluto, signore.”
“Buio?”
“Buio pesto, signore.”
“Bene” dice Blat1. “Prendi con te cinque unità e dirigiti verso la cucina.”
“La cucina?” risponde Blat2, preoccupato. “È proprio sicuro, signore?”
Blat1 emette un lungo sospiro, si guarda attorno a lungo, scuote le antenne e trattiene a stento l’ira.
“Ascoltami bene, tutto sta procedendo secondo i piani, anche se con una certa lentezza purtroppo, e riuscire a consolidare la nostra posizione in quell’ambiente è di fondamentale importanza strategica. Sono stato chiaro? È necessario che lo ripeta?”
“No, signore. Mi permette un’osservazione?” dice Blat2.
“Prego.”
“Lei ritiene che il nostro avamposto in loco non sia sufficiente?” domanda impacciato Blat2 incassando il capo nella corazza.
“Dove? A quale sito ti riferisci?”
“Dietro a quella rumorosa macchina. Quella che gira, intendo.”
“La lavatrice?”
“Sì, proprio quella!”
“Si tratta di sole due unità!” sbotta l’ufficiale. Dobbiamo al più presto rafforzare e irrobustire la nostra presenza in quel sito, altrimenti non saremo mai in grado di lanciare un’offensiva degna di tale nome!”
“D’accordo, signore. Come lei desidera. Mi consente di chiedere un’ultima cosa?”
Blat1 sbuffa, stizzito.
“Sì, ma che sia davvero l’ultima!” dice.
“Come ci regoliamo con… quello? Dobbiamo attaccarlo?”
“Che stai dicendo? Chi sarebbe quello?” esplode Blat1.
“Mmm… mi riferisco al gatto. Può costituire un pericolo. Mi scusi, signore.”
“Per nessun motivo dovrà essere attaccato! Inoltre, quell’essere è del tutto innocuo, non ha mai dimostrato alcun interesse nei nostri confronti. Tra l’altro, in questo momento starà di sicuro dormendo…”
“Mi permette, signore? Vorrei rammentare il povero Unità131, è caduto proprio a causa di quella bestia.”
“È l’unica sua vittima, e comunque quel buono a nulla non doveva uscire di giorno, non ha rispettato gli ordini e ne ha pagato le conseguenze.”
“Era rimasto isolato da molto tempo, aveva fame.”
“Poteva resistere qualche altra ora. L’avremmo tirato fuori da quella sacca!”
“Certo, signore” approva Blat2, sebbene dubbioso.
Blat1 se ne avvede e drizza le antenne.
“Qual è la nostra regola fondamentale, eh? Pronunciala!”
“Bene, signore. Dunque: il giorno è la notte e la notte è il giorno!”
“E l’altra?”
“Ti ciberai sempre in compagnia delle tenebre!”
“Bene, così mi piaci” approva Blat1, compiaciuto.
In quel momento arriva un esploratore, trafelato, con le antenne abbassate.
“Con permesso, signore” dice con un filo di voce.
“Parla, ragazzo.”
“Stavamo esplorando un territorio in prossimità della base quando abbiamo notato delle strisce di polvere gialla, là dove la terra si unisce al cielo.”
“Ebbene? Prosegui.”
“Unità 17 si è offerto volontario come assaggiatore. Adesso sta molto male, il medico ha detto che per lui non c’è più nulla da fare.”
Blat1 riflette un breve istante. È abituato a prendere decisioni in modo rapido.
“Fai diramare l’ordine a tutte le unità attualmente sul territorio. Stare lontani, nel modo più assoluto, da quella polvere gialla!”
“Ma…”
“Che c’è ancora, esploratore? Parla!”
“Pare che quella sostanza susciti una irresistibile attrazione.”
“Lo so, non è di certo la prima volta che mi ci imbatto, ma personalmente sono sempre riuscito a resistere. Ricorda a tutti che si tratta di un’attrazione letale. A decesso avvenuto, esponete il corpo dell’eroico esploratore. Servirà da ammonimento alla truppa.”
“Certo, signore. Farò eseguire subito i suoi ordini. Con permesso, signore.”
“Brutta faccenda” dice Blat2, che ha assistito al colloquio.
“Sei ancora qui? Vai! Subito!” prorompe l’ufficiale, fuori di sé dalla collera.
Blat2, depresso, raduna a fatica cinque unità poi, con estrema circospezione, si accinge a compiere la sua missione.
“Lei rimarrà con noi all’avamposto?” domanda una giovane unità al suo primo incarico importante.
“No, tornerò indietro al prossimo buio, accompagnato da uno di voi.”
“Chi?” chiedono tutti e cinque in coro.
“Poi si vedrà” risponde Blat2, laconico, suscitando una generale delusione. Tutti sanno che il distaccamento è un luogo molto pericoloso, troppo lontano dalle tane e con scarse possibilità di approvvigionamento.
“È liscio!” dice Unità19.
“Si scivola, è difficoltoso procedere” gli fa eco Unità89.
“Forza! Muovete quelle zampe! È soltanto cera!” li incoraggia il loro sergente.
“Alt!” ordina a un certo punto Blat2.
“Che c’è?” domanda Unità19, ansioso.
“Siamo vicini alla zona frequentata dal gatto. Nonostante le rassicurazioni del comandante, io continuo a non fidarmi di quella bestia. Avanziamo con cautela e in assoluto silenzio.”
I sei, a un certo punto, passano sotto a una sedia, dalla quale spunta proprio la coda del temuto felino. I cinque soldati si immobilizzano, in preda al terrore. Blat2, sebbene impaurito a sua volta, cerca di mantenere la calma e si pone in ascolto. Sente un lieve russare e si tranquillizza.
“Sssttt! Sta dormendo. Forza, avanti veloci!” sussurra ai suoi soldati.
Ormai la squadra ha oltrepassato quasi del tutto la cucina e si sta dirigendo verso l’angolo più lontano della stessa, sede dell’avamposto.
Unità35 si arresta all’improvviso.
“Guardate!” dice rivolto ai compagni.
“Un rifugio! Riposiamoci un attimo!” E tutti si precipitano verso la piccola costruzione bianca.
“No! Fermi!” urla Blat2. Troppo tardi, tutti i suoi ragazzi sono già penetrati all’interno della scatoletta.
Blat2 si avvicina a uno degli ingressi ma non entra. Il suo sesto senso gli dice di non farlo.
“Uscite fuori, presto!” grida, pur consapevole che il gatto potrebbe svegliarsi udendo le vibrazioni della sua voce.
Uno alla volta, le cinque unità escono.
“Sergente, dentro non c’è niente” dice il primo.
“A parte un buon odorino…” dice il secondo.
“Ma che cos’è? Un rifugio anti-gatto?” domanda il terzo.
Blat2 non risponde, non ne ha la forza. Si guarda attorno e vede che le altre due unità sono con la schiena a terra, morte stecchite. Dopo pochi secondi, senza un solo lamento, la stessa sorte tocca anche agli altri tre.
Blat2 è rimasto solo. La sua missione è ormai fallita. Ha perso cinque giovani soldati. Allora abbassa le antenne e, lentamente, torna sui suoi passi. Si avvicina alla sedia, vi sale sopra scalandone rapido una gamba, cammina sul pelo del gatto e si ferma proprio sul suo naso. Che subito ha un fremito. Poi, più nulla.

lunedì 27 giugno 2011

IL COMODINO


Quando bussarono alla porta erano le sette del mattino. Era inverno, faceva molto freddo e fuori era ancora buio. Alcuni giorni prima aveva nevicato, e la sottile coltre di neve si era ben presto trasformata in ghiaccio. Mi ero svegliato presto perché, nonostante il tempo inclemente, dovevo uscire per un impegno di lavoro. Oltre a me, nella casa nessun altro era in piedi. Mentre aspettavo che fosse pronto il caffè avevo sentito quei colpi concitati sull’uscio. Chi poteva essere? Qualcuno che aveva bisogno di aiuto? Che era rimasto con l’auto in panne? Un po’ in ansia, mi infilai un maglione e scesi a piano terra.
“Chi è?” domandai.
Nessuna risposta. Allora mi decisi ad aprire. E rimasi sbalordito.
“Zia, sei tu? Perché non mi hai risposto?”
“Sono troppo agitata, fammi entrare!”
Spalancai la porta e lei si precipitò in casa. Notai che era vestita con un abito leggero, anche se si era buttata sulle spalle una mantella di lana. Che cosa l’aveva spinta a uscire di casa in maniera così frettolosa? Tra l’altro, notai che appariva molto spaventata. E il suo viso era cereo. Zia Lina era la sorella maggiore di mio padre. Vedova ormai da tanti anni, senza figli, viveva da sola in una casetta in fondo alla borgata. Le sue giornate erano scandite dalla messa mattutina, dalla quotidiana visita al cimitero e da tutti gli altri riti religiosi che, lo ammetto, non conoscevo nei dettagli.
La accompagnai di sopra pronunciando alcune parole a caso, nel vano tentativo di rassicurarla. Soltanto quando si fosse calmata un po’ le avrei finalmente domandato che cosa l’avesse scossa in quel modo. La feci accomodare sul divano e lei mi ringraziò, a gesti.
“Vuoi qualcosa da bere? Acqua? Qualcosa di caldo?” le chiesi.
Lei si limitò a scuotere il capo in modo energico, poi mi fece cenno di sedermi accanto a lei. Lo feci e, proprio stavo per aprire la bocca allo scopo di esaudire la mia crescente curiosità, fu lei a parlare.
“Non c’è più! Mi sono svegliata e non l’ho più visto! Ho guardato bene, ma è sparito!” disse, in tono esagitato.
“Calma, zia. Chi è scomparso, Lucky?” Si trattava del suo cane.
Lei fece segno di no con il dito.
“Allora, vuoi dirmi che cosa è accaduto? Altrimenti non posso aiutarti. Vuoi che svegli papà?”
“No, lascialo dormire, tanto non potrebbe fare nulla. E non puoi fare niente neppure tu.”
“Insomma, vuoi raccontare con calma? Dall’inizio, se possibile?”
Lei annuì.
“Ieri sera sono andata a dormire” disse, e poi si bloccò:
“Quindi?” cercai di incoraggiarla a proseguire.
“Era tutto a posto, tutto come sempre.”
“E poi?”
“Stamattina, alle sei, mi sono svegliata, e lui era scomparso” disse, tutto d’un fiato.
“Scusa, fammi capire. Lui chi? A chi ti riferisci?” chiesi, ormai impaziente.
“Il comodino” disse.
“Aspetta, vuoi dire che qualcuno ha portato via il comodino mentre tu dormivi?”
“No, in casa non è entrato nessuno. È scomparso, e basta.”
“Sei sicura?”
“Guarda che non sono mica pazza.”
“Non volevo dire questo. Forse hai soltanto sognato.”
“E allora perché il comodino non c’è più?”
A quel punto stavo per impazzire io. Presi una decisione.
“Zia, dammi le chiavi di casa tua e, mentre tu stai qui a riscaldarti e a tranquillizzarti, io vado a dare un’occhiata.”
Lei, ubbidiente, mi porse le chiavi. Mi infilai un paio di scarpe e uscii. Raggiungi in pochi minuti l’abitazione di zia Lena, entrai e mi diressi subito nella stanza da letto. Il comodino, l’unico presente nella camera almeno fino al giorno prima, non c’era più. Aveva ragione lei, era davvero sparito.
Che cosa accadde dopo? Be’, che ci crediate o no, la notte successiva scomparve il letto della zia. Sapete, a distanza di tempo da quegli strani avvenimenti mi piace pensare che la scomparsa di zia Lena non sia stata direttamente legata a quella del suo letto. Forse capitò semplicemente perché lei, in quell’attimo, poiché ritengo si sia trattato di un attimo, vi era coricata sopra.

venerdì 24 giugno 2011

CRISI



“Non pensi anche tu che il nostro rapporto sia in crisi?”
“No.”
“No?”
“No.”
“Voi uomini siete sempre così superficiali!”
“Non mi interessano gli altri uomini, parliamo di noi.”
“Di che vuoi parlare? Hai appena detto che va tutto bene!”
“Tu mi hai rivolto una domanda e io ho risposto. Però mi chiedo: perché hai fatto proprio quella domanda? Tu credi davvero che tra di noi ci sia qualche problema?”
“Non soltanto lo credo, ma ne sono sicura.”
“La tua certezza si baserà senza dubbio su alcuni presupposti. Posso conoscere quali sono?”
“Sei noioso anche in questo momento, sai solo porre sciocche domande, non sei in grado di fornire risposte. E inoltre non sai discutere, non sai affrontare le complicazioni, e un rapporto in difficoltà è di certo una questione importante.”
“Che il nostro rapporto sia in crisi lo hai affermato soltanto tu, finora.”
“Vedi? Per quale motivo dici finora? Fino a un attimo fa stavi negando tutto, proprio come fanno gli uomini. Siamo in crisi? No. Hai l’amante? No. Sei un perfetto cretino? No. E adesso hai già cambiato idea.”
“Primo: non ho affatto cambiato idea. Secondo: come mai hai la fissazione degli altri uomini? Ti manca forse la quantità? O la varietà, magari?”
“A volte riesci a essere veramente offensivo. Che ti piaccia o no, tu appartieni a un genere inferiore e ne stai dando prova, tanto da diventare spregevole.”
“Piano con le parole. Non ti intendevo assolutamente offendere.”
“La tua stessa presenza è oltraggiosa!”
“Isteria.”
“Eh? Ripeti!”
“Il tuo è un tipico comportamento isterico, e la mia è una constatazione puramente scientifica. Il termine isterico deriva da…”
“Non fare il saccente con me! Non osare! Da sempre gli uomini, boriosi e cattedratici, tentano di inculcare nelle donne…”
“Femminismo.”
“Basta! La vuoi smettere di esprimerti con singoli termini? Che cosa vuoi mai dimostrare? D’accordo che il vostro vocabolario, degli uomini intendo, è piuttosto limitato, tuttavia potresti anche fare un piccolo sforzo onde evitare di apparire come un essere rozzo e primitivo quale invece sei.”
“Sai soltanto insultare, mia cara.”
“E tu non sai fare nulla!”
“Alt! Che cosa intendi dire? Precisa meglio.”
“In casa non sai fare nulla. Fuori? Boh! E a letto? Be’, meglio non dire niente. Le mie parole potrebbero annientare per sempre la tua sfera più intima!”
“Questo non me l’avevi mai detto…”
“Quest’ultima cosa? Finora non era stato necessario.”
“Stai parlando sul serio?”
“Guardami in faccia. Mi conosci bene, ti pare forse che stia scherzando?”
“No…”
“È assai facile fingere per compiacere gli uomini, per tenerli buoni.”
“Le tue affermazioni sono di una gravità incredibile.”
“Le mie verità, vuoi dire. Le mie assolute verità.”
“Lascia che mi sieda.”
“Che c’è, ti senti male?”
“No, ma sono sconvolto.”
“E se ti dicessi che ti ho mentito? Che invece tu a letto sei un vero portento?”
“Non ci crederei.”
“E faresti bene!”
“Ah!”
“Che c’è adesso?”
“Nulla. Non ti credevo così spietata e crudele.”
“Sono soltanto me stessa.”
“Non la donna che io conoscevo.”
“Quella arrendevole? Sottomessa?”
“Sì…”
“Quella che dice sempre di sì?”
“Ascolta, non pensi anche tu che il nostro rapporto sia in crisi?”
“Sì, lo penso anch’io.”



lunedì 20 giugno 2011

KRISTOS VERITAS




Per una giovane giornalista come me si tratta di un’occasione unica e irripetibile. La soffiata del mio amico è arrivata al momento giusto e adesso sono qui, di fronte a questo grande e lussuoso albergo, e aspetto. Eccolo, è lui , sta uscendo proprio adesso, in compagnia del suo inseparabile cagnetto. Gli corro incontro e lo intercetto. Lui si ferma e mi guarda, per nulla sorpreso.
“Non mi racconti che è una mia ammiratrice, perché non ci crederei” dice. La sua voce è calda e melodiosa, proprio come la ricordavo dai suoi interventi , rari, in televisione. Tuttavia, mi sento presa in contropiede e tardo un po’ a reagire.
“Professore, diciamo che sono anche una sua ammiratrice” rispondo, imbarazzata.
Lui annuisce.
“Giornalista, vero?” domanda. Anzi, afferma.
Confesso, mortificata.
“Posso rivolgerle ugualmente qualche domanda?” riesco comunque a chiedere.
“Se non le spiace camminare… Sa, Polly ha bisogno di fare del moto.”
“Si chiama Polly?” chiedo, stupidamente, indicando il piccolo cane dall’aria antipatica.
“Il suo vero nome è Pollution, ma io lo chiamo Polly.”
“Ah, capisco” dico.
Poi il professore si arresta di botto. Polly si sistema nella giusta posizione e inonda il marciapiede di escrementi. Dopo un attimo il professore, indifferente, riprende il cammino. So che non dovrei farlo, ma non riesco proprio a resistere e allora parlo.
“Professore, mi scusi, non raccoglie la…”
Mi fulmina con lo sguardo.
“Si riferisce alle deiezioni canine? Vorrebbe forse che io prendessi un sacchetto di plastica e lo riempissi merda? Per poi buttare il tutto in un cestino? Per chi mi ha preso, per un inquinatore?” Si volta dall’altra parte, sdegnato.
Sono mortificata. Non avrei dovuto fare una domanda simile al  professor Kristos Veritas, luminare americano di origine greca,  il massimo esperto mondiale di smaltimento di rifiuti nonché di energie rinnovabili e alternative. Uno scienziato totale, come si usa dire oggi, un prestigioso premio Nobel.
Lui nota il mio avvilimento. Accenna un sorriso.
“Si tratta di composti organici, chi meglio del sole, della pioggia e del vento li può smaltire?” dice.
Non posso che acconsentire. Dopotutto, lo specialista è lui.
“Professore, che mi può dire delle fonti di energia rinnovabili? L’energia solare, quella eolica, rappresentano davvero il nostro futuro?” domando, timorosa.
“Non esistono.”
“Eh?”
“Tutte balle! Tutta roba costosa, insufficiente e, soprattutto, altamente inquinante. Ha mai provato a smaltire un pannello solare? Guardi, proprio non glielo auguro!”
Sono sbalordita.
“Ma… allora… le sue ricerche…”
“Ah, quelle! Servono soltanto per ottenere riconoscimenti accademici, partecipare a convegni in tutto il mondo e alloggiare in alberghi di lusso.”
Le sue risposte mi sconcertano. Perché sta dicendo proprio a me queste cose? Comunque, insisto.
“Ma il fabbisogno energetico…”
“Carbone! Carbone, petrolio e gas. Finché ce n’è, naturalmente, poi si vedrà”
“Si tratta di combustibili molto inquinanti! Così distruggeremo il pianeta!” protesto, indignata.
“No, non lo distruggeremo noi, lo distruggeranno loro.”
“Loro chi?”
“Le economie in via di sviluppo, e noi non possiamo fare nulla per impedirlo. In fondo, è un loro diritto. Noi, per molto tempo, abbiamo dato un decisivo contributo a tale devastazione. Adesso tocca a loro completare l’opera. Sono sicuro che se la caveranno molto bene.”
Il professor Veritas sembra compiaciuto.
“Dobbiamo fermarli!” quasi urlo.
“Vuole forse avere sulla coscienza miliardi di vite umane? Morirebbero tutti di fame, non c’è dubbio.”
“Il mondo finirà! Ci sarà una catastrofe globale!” mi ostino.
Il professor Veritas scoppia in una fragorosa risata. Piegato in due, si da grandi manate sulla coscia e picchia il piede destro a terra. Il suo cagnetto lo guarda e pare divertito pure lui. Poi si calma.
“Né io, né lei, che pure è molto giovane, assisteremo a tale disastro. Quindi, perché mai dovremmo preoccuparci?”
“Ma… i miei figli… i miei nipoti…”
“Le assicuro che non toccherà neppure a loro. In quanto ai suoi pro-pro-nipoti lei non avrà mai modo di conoscerli. E allora, perché mai dovremmo angustiarci per dei perfetti sconosciuti?”
Sono senza parole ma, allo stesso tempo, sono anche turbata e molto irritata. Eppure, so che il professor Veritas ha ragione.
“La stessa cosa vale pure per l’inquinamento?” domando con un filo di voce.
“Certo! Come lei sa, io ho studiato messo a punto dei sistemi per la raccolta differenziata. Be’… grazie a loro ho ricevuto il Nobel. Tuttavia…”
“Tuttavia?” lo incoraggio.
“Senta, nessuno ha il coraggio di ammettere ciò che sto per dirle.”
“Vale a dire?”
“Tutti si pavoneggiano con tali sistemi di avanguardia ma in realtà non interessano a nessuno. Il collasso ambientale  è un  problema che è percepito come troppo lontano nel tempo. Mi creda, non c’è niente da fare.” Il professore scuote le spalle.
Mi gioco l’ultima carta.
“E se tutti noi decidessimo, per salvare il pianeta, di cambiare il nostro modo di vivere. Di rinunciare a quasi tutto?”
Kristos Veritas mi rivolge uno sguardo intenso, che mi intimidisce.
“Ho sentito bene? Lei ha detto rinunciare a quasi tutto?” domanda.
Poi scoppia di nuovo a ridere. Più forte di prima.

domenica 19 giugno 2011

VUOTO




Quando l’uomo si sveglia la prima luce del mattino filtra, ancora incerta, attraverso le persiane socchiuse. Si alza a sedere sul letto, rivolge uno sguardo alla donna che è addormentata e distesa accanto a lui, poi si alza ed esce dalla stanza. Cammina per un tratto nel corridoio semibuio e si dirige verso il bagno. Impugna la maniglia, la abbassa e spinge, come fa sempre, come fanno tutti, ma la porta offre resistenza, come se dall’altra parte ci fosse qualcuno che si sta opponendo con un piede. L’uomo, sbalordito e impressionato percepisce, proprio mentre esercita una maggiore forza, la brusca accelerazione dei battiti del suo cuore. La porta si spalanca all’improvviso, l’uomo piomba nel bagno, quasi cade. Guarda ovunque - l’ambiente è talmente piccolo! - ma non vede nessuno. Allora, finalmente, si calma. Forse, per qualche oscura ragione, la porta era rimasta semplicemente incastrata. L’uomo urina, con soddisfazione – la pressione della vescica stava diventando davvero fastidiosa – quindi si pone di fronte al lavabo, si deterge con cura le mani e si rinfresca il viso. Quando, alla fine, si solleva e si osserva allo specchio, emette un gemito soffocato. Dietro di lui - lo scorge attraverso il riflesso – c’è…
No, non si tratta di un essere mostruoso, demoniaco e ancor meno di uno spettro, un fantasma. Tuttavia, è come se lo fosse, tale è il suo effetto.
È un individuo di bassa statura, vestito in modo semplice: una camicia a quadri, di tessuto pesante, pantaloni da lavoro, grossi scarponi infangati. Di sicuro non è più tanto giovane perché i suoi capelli – pochi per la verità e disposti tutti ai lati del capo – sono grigi e le rughe sono  piuttosto marcate. L’espressione tratteggiata sul suo volto è mite, bonaria.
Ma che importa tutto ciò all’uomo allo specchio? Sentendosi mancare – perché adesso il suo cuore ha mancato almeno due battiti – si volta stringendosi la faccia con le mani, i capelli ritti sul capo, completamente in preda al terrore. Quella apparizione, però, è scomparsa. Quella banale figura – un contadino, forse? – non c’è più. È rimasta solo la paura e allora l’uomo, che sta per mettersi a piangere, va verso la finestra e la apre, per respirare una boccata d’aria. Si sporge, ansimante, ma attorno e sotto di lui non vede nulla. Non c’è il cielo, non ci sono gli alberi, non c’è più neppure la strada, né le automobili. Non c’è nulla. C’è il nulla.
Adesso l’uomo urla, urla e urla.
Per tentare di riempire il vuoto.

mercoledì 15 giugno 2011

LEGA FLOP




L’esito della doppia consultazione elettorale (amministrative e referendum) ha fornito una chiara indicazione: se non si sa bene chi ha veramente vinto – centrosinistra, partiti più estremi, singoli esponenti politici, società civile, popolo della rete o semplice buon senso? – si sa con certezza chi invece ha perso: il Popolo della Libertà (Berlusconi in primis) e la Lega Nord.
Proprio dal movimento di Bossi – all’interno del quale si auspicava, nello scenario peggiore, almeno in un travaso di voti dal Pdl che non c’è stato - si attende ora la prossima mossa, che potrebbe essere determinante per le sorti del governo. Ne sapremo forse di più dopo il raduno di Pontida. La Lega ha infatti la possibilità, l’opzione, di mantenere in vita l’esecutivo, di decretarne la fine immediata oppure, come è stato fatto fino a questo momento, di vivacchiare anche se, come ha ricordato qualcuno “tirare a campare conduce a tirare le cuoia”. Infatti si è visto quanto quest’ultima scelta, per la Lega, non abbia affatto pagato: ha provocato una crescente disaffezione da parte dei propri votanti, culminata nella sconfitta elettorale; ha prodotto spaccature e divisioni tra i dirigenti del partito e, per la prima volta, seppure in maniera timorosa, è stata messa in discussione addirittura la leadership dello stesso Bossi, ritenuto da alcuni mal indirizzato e consigliato, da altri in una condizione di confusione e privo di una precisa strategia politica. Tra l’altro, e ciò non avveniva da tempo, si è riproposto l’antagonismo tra l’anima veneta della Lega e quella lombarda (emblematica in tal senso la disobbedienza del governatore Zaia sui referendum) e, attualmente, l’unico esponente di spicco del partito che sembra in grado di poter dialogare con entrambe le posizioni è il ministro Maroni, guarda caso uno dei “colonnelli” leghisti più accreditati per la successione di Bossi.
Quali alternative ha dunque di fronte la Lega per garantire la propria sopravvivenza? In realtà ne ha una sola – che tuttavia difficilmente sarà attuata – vale a dire quella di sciogliersi dall’abbraccio mortale con Berlusconi. In fondo, è ciò che chiede da tempo la maggioranza dei militanti ma che, probabilmente, l’attuale classe dirigente del movimento non è in condizione di realizzare: troppi sono ormai gli intrecci e gli obblighi di riconoscenza nei confronti del Satrapo di Arcore.
Alla fine cadranno insieme, e forse è giusto che sia così, perché ognuno ha la sua parte di colpe e di responsabilità.

domenica 12 giugno 2011

LA RISCOSSA DELLA SAGGEZZA




Sono stato a votare. Non potevo sottrarmi dall’esercitare questo mio diritto, ottenuto grazie all’eroico ed estremo sacrificio di una moltitudine di donne e uomini che, in passato, hanno creduto nella libertà. Pertanto l’ho fatto anche per loro, come, allo stesso modo, lo dovrebbero fare tutti i cittadini consapevoli. Chi non si reca alle urne, non gravato da reali impedimenti ma per scelta decide, in maniera del tutto cosciente, di auto declassarsi, di rinunciare colpevolmente a una parte importante del proprio diritto di cittadinanza. Tutto il resto, tutte le altre ridicole giustificazioni, le grottesche discolpe, gli equilibrismi verbali, sono parole vuote, leggere, che il vento subito porta via.
Dopo il voto, ho sostato per un po’ di tempo di fronte al seggio elettorale, a osservare, e sono stato colpito da un fatto: la maggior parte degli elettori erano persone anziane. Sole, o a gruppi di due o di tre, avanzavano con passo malfermo o appoggiandosi a un bastone, e si dirigevano verso la sezione con lo sguardo determinato, con la risolutezza che possiede solo chi ha assistito a molti tramonti, chi ha perso la capacità di stupirsi perché ormai ha visto tutto ma non ha ancora rinunciato a vivere. E, proprio in nome delle antiche lotte, queste virtuose persone non rinunciano alla partecipazione, alla possibilità di poter contare, di esprimere un’opinione. Più il momento è delicato, più loro si compattano e serrano le fila. Un esempio, di dignità, compostezza e serietà, indirizzato soprattutto alle nuove generazioni, ma pure a noi tutti.
In fondo, che male c’è se la riscossa partirà dalla saggezza?

venerdì 10 giugno 2011

UN SORSO D'ACQUA



Fa caldo, molto caldo, eppure l’estate è appena iniziata. L’uomo percorre l’ampio viale con passo stanco, strascicato. Ha cercato rifugio sotto i grandi platani, inseguendo un possibile refrigerio, rincorrendo una vana, illusoria impressione di fresco che invece non ha affatto trovato. Gli alberi, alti e immobili, lo guardano dall’alto verso il basso, spossati pure loro, e spendono tutte le loro residue energie nel tentativo disperato di succhiare dal terreno arido tutta l’umidità possibile. Le loro foglie, assetate, sono opache e ricoperte di una sottile polvere bianca.
E l’uomo avanza, con il suo vestito grigio, di stoffa leggera, con la cravatta slacciata, impugnando il manico di una logora borsa di pelle. All’improvviso, proprio in fondo al viale, intravede una fontanella per l’acqua. Un miraggio, pensa, è di sicuro un miraggio. L’eccessiva calura, la disidratazione, possono giocare un brutto scherzo anche se non si è in mezzo a un deserto, ma in città. La sensazione di sete aumenta, diventa insopportabile, le fauci si seccano sempre più.
Eppure l’uomo procede finché la sua perseveranza non è premiata: la fontanella non è una visione dovuta allo sfinimento, esiste davvero, è reale. L’uomo, confortato nello spirito se non ancora nel corpo, accelera il passo, la raggiunge. Accecato dal desiderio di bere, solo all’ultimo momento si accorge che, vicino all’agognata fonte, ritta in piedi, c’è una persona.
Si tratta di in individuo giovane, dalla corporatura massiccia e possente. Indossa una divisa: pantaloni neri, stretti, con una banda gialla e una camicia azzurra con le maniche corte. Una rapida occhiata e poi l’uomo lo ignora, posa a terra la valigetta, si abbassa verso il potente getto d’acqua con le mani già protese a coppa, la gola pronta ad accogliere quel provvidenziale fiotto refrigerante. Ma una enorme mano lo blocca e gli impedisce di avvicinarsi alla sospirata fontanella.
“Alt!” dice l’uomo in divisa. Il suo tono è fermo ma gentile. “Mi scusi, quanti sorsi?” aggiunge.
L’uomo strabuzza gli occhi, stupito, meravigliato.
“Eh?”
“Mi deve comunicare quanti sorsi d’acqua intende bere. Così le posso fare la ricevuta, dopo che avrà pagato, naturalmente.” L’uomo in divisa accenna un sorriso.
“Ma che sta dicendo? Si sposti e mi lasci bere, l’acqua è di tutti!”
“Mi spiace contraddirla, ma l’acqua era di tutti. Adesso non è più così.”
“Basta! Se ne vada che devo bere. Ho sete, molta sete.”
“Capisco, signore. Il caldo è notevole. Potrà bere al più presto appena avremo regolato…”
L’uomo con la borsa perde le staffe e si mette a urlare.
“Viaaaa! Si tolga dai piedi! Come si permette? Chi è lei?”
L’uomo in divisa non si scompone. Dal taschino della camicia estrae un tesserino plastificato. Lo esibisce.
“Sono un guardiano dell’acqua. Questa fontanella è gestita dalla società per cui lavoro, una società che ha fatto enormi investimenti nel settore e che non può permettersi che l’acqua sia sottratta in modo fraudolento. Quest’acqua è privata, tanto per intenderci. Se le interessa, sono cinquanta centesimi a sorsata.” Il tono di voce dell’uomo in divisa adesso è più duro.
“Si tolga dai piedi!” ribatte l’altro, infuriato. E si getta verso la fontanella.
La guardia reagisce con prontezza. Si scaglia contro di lui, lo atterra con una abile mossa, gli appoggia uno scarpone sulla schiena, gli afferra le braccia e gliele imprigiona con delle manette che sono spuntate tra le sue mani come per magia.
“Mi lasci…” dice l’uomo con un filo di voce. È annientato, con la bocca appoggiata sul selciato. Ingoia un po’ di sabbia, che va a tormentare ancora di più la sua gola riarsa.
La guardia tira fuori un cellulare e compone un numero.
“Ho chiamato la polizia. Lei sarà arrestato, perché ha commesso un reato molto grave. Ha cercato di rubare dell’acqua” Il suo tono adesso è ridiventato pacato, sereno. Sembra quasi dispiaciuto.
“Mi scusi, sto soltanto facendo il mio dovere” aggiunge.
L’uomo è a terra, disperato. In lontananza, si sente il rumore delle sirene della polizia.
“Ma io non sapevo…” cerca di giustificarsi.
“Mi scusi, posso farle una domanda?” chiede la guardia.
“S-s-sì…” risponde l’altro, sempre più attonito.
“Lei come ha votato al referendum sull’acqua? Sa, è una mia personale curiosità.”
“Il referendum? Non so. Ricordo soltanto che non mi ero informato molto. Comunque, credo di avere votato a favore della privatizzazione.”
“Ah! La ringrazio, signore.”
  

lunedì 6 giugno 2011

GIOCHETTI



Ci risiamo. Di nuovo giochetti, ancora ambiguità, sempre nuovi tentativi di perpetuare, in un tempo che ormai è diventato  infinito, la falsa realtà fondata sull’inganno e sulla menzogna.
Le vittime? La solita parte – in lenta diminuzione, per buona sorte – di sprovveduti e creduloni cittadini che ancora sottostanno alla perfida arte ammaliatrice del Gran Bugiardo.
Nell’ultima settimana lo sciagurato presidente del Consiglio – confuso, annebbiato ma non per ciò meno pericoloso – si affanna e si ostina a minimizzare gettando secchiate d’acqua (a gestione privata o pubblica?) sul metaforico incendio per lui rappresentato dai quesiti referendari.
Assistiamo increduli a sconcertanti dichiarazioni del tipo: i referendum sono stati svuotati del loro significato, sono di conseguenza inutili, non possiedono la minima valenza politica, il Governo non ha alcun interesse per la consultazione, dall’esito del voto non può derivare nessuna conseguenza per la maggioranza, lasciamo ai nostri elettori la piena libertà di scelta (nel senso che possono decidere se recarsi alle urne oppure no e lasciando intendere che è preferibile optare per non andare). E così via, in un crescendo parossistico di annunci e comunicazioni distorte e scellerate.
In realtà, già da alcuni giorni è in atto l’ennesima – e non comunicata – maldestra e disperata manovra rivolta a impedire che gli elettori si possano esprimere in modo diretto e democratico.
Il Governo ha infatti presentato un ricorso alla Corte Costituzionale – in esame probabilmente già martedì e con pronunciamento atteso il giorno stesso – che prevede, in caso di suo accoglimento da parte della Consulta, l’annullamento del referendum sulla scelta nucleare.
Perché questo grande interesse, questo accanimento tutto concentrato su tale quesito? In verità l’autentico interesse è sempre lo stesso, quello di un solo individuo, il Premier, impegnato in maniera spasmodica a tentare di attenuare – o addirittura annullare – le pesanti ripercussioni che potrebbero derivare dai numerosi procedimenti giudiziari in corso nei suoi confronti.
Si teme infatti, in ambito governativo, che le tematiche legate alla scelta sul nucleare – molto sentite dall’opinione pubblica – possano rappresentare un temibile traino, raffigurabile in una specie di inarrestabile locomotiva impazzita, e che contribuiscano così al paventato raggiungimento del quorum anche sulla consultazione che riguarda il legittimo impedimento. Tale norma, esempio cristallino di legge ad personam – una delle tante, purtroppo, che abbiamo sopportato – seppure abbia avuto i suoi nefasti effetti mitigati dal pronunciamento della Suprema Corte che ne ha cassato ampie parti, possiede intatto un intrinseco valore simbolico: si tratta, insomma, di una sorta di ennesimo giudizio popolare sulla persona del Presidente del Consiglio, e su temi piuttosto sensibili quali la legalità e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
Considerando che nell’ultimo periodo il vento ha un po’ mutato la sua direzione, il Grande Impunito preferirebbe senz’altro evitare tale inconsueta ordalia, nella quale a prevalere non sarebbe il giudizio divino, bensì quello di milioni di elettori, e ben difficilmente l’accusato ne uscirebbe con la patente d’innocenza.

domenica 5 giugno 2011

SU E GIU'



Ho iniziato a svolgere questo lavoro tanto tempo fa. Certo, non tutti la definirebbero propriamente un’occupazione, un’attività tra quelle abituali che vengono eseguite dalla maggior parte delle persone. Si tratta, infatti, di qualcosa di particolare, di molto singolare. Un giorno sono uscito di casa, dal pianerottolo del mio appartamento, intendo, e mi sono infilato dentro quel cubicolo. Da quel giorno non sono più uscito. D’accordo, a volte sono costretto a farlo per dei brevi momenti: un breve spuntino, le necessità fisiologiche, una doccia veloce e altre piccole incombenze che riguardano la cura della persona. Quando lo faccio, comunque, avviso sempre. Ho preparato allo scopo un cartello che affiggo all’esterno, vicino alla porta. Se possibile cerco di assentarmi sempre durante la notte, per creare il minimo disagio e per non interrompere il servizio per troppo a lungo.
All’inizio stavo sempre in piedi, poi non ce l’ho fatta più. Siccome non mi sembrava dignitoso sedermi a terra, mi sono procurato un piccolo sgabello e, quando mi sento stanco, lo utilizzo. Quali sono esattamente le mie mansioni? È difficile definirle, forse perché non esistono. In realtà non faccio nulla, semplicemente offro la mia presenza. No, non schiaccio tasti, né faccio altre cose. Non desidero intervenire in modo diretto nelle vite degli altri, non voglio essere percepito come una figura invasiva. A volte mi capita di dover intervenire di persona, ma solo e sempre su richiesta.
Di solito, non parlo. Quando incontro le persone, mi limito a rivolgere un impercettibile cenno del capo. Con il passare degli anni ho capito che tale atteggiamento è quello più gradito. Naturalmente qualcuno si sforza di dirmi qualcosa, tuttavia tutti hanno ormai compreso che i miei argomenti di conversazione sono piuttosto limitati. Non leggo i giornali, non guardo più la televisione, ignoro tutto ciò che succede all’esterno. Non sono in grado di discorrere neppure del tempo atmosferico, dal momento che non esco mai e che l’unica luce che vedo è quella artificiale di una lampada al neon. Nonostante tutto, qualcuno si ostina a salutarmi con squillanti buongiorno e buonasera, soprattutto le donne, e a quel punto rispondo con gentilezza e sforzandomi di abbozzare un sorriso. I più, comunque, mi ignorano. Lo fanno i ragazzini che tornano da scuola, stanchi e impazienti di divorare il cibo che madri amorevoli hanno loro preparato. Le vecchiette che tornano dalla spesa, cariche di borse, desiderose di richiudersi al più presto nel guscio protettivo delle loro abitazioni. E lo fanno gli uomini d’affari che rientrano la sera tardi, sfiniti da una interminabile giornata di lavoro e da chissà quali altri gravosi impegni, non ultimi quelli rappresentati da esigenti amanti. Infine, lo fanno tutte quelle persone che vedo per una volta soltanto: ospiti, fattorini, idraulici.
Oh! Qualcuno ha chiamato di sotto. Ero al quinto piano, e tra un attimo mi ritroverò al piano terra. E poi di nuovo su! Credetemi, è una sensazione bellissima.
Mi piace, il mio lavoro. Mi appaga e mi soddisfa. Cercherò di non lasciarlo mai, di continuare per sempre. Sono convinto che morirò qui dentro. In fondo, è ciò che desidero.