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lunedì 31 gennaio 2011

PAGLIUZZE



In margine alle note vicende che hanno coinvolto il nostro indegno e impresentabile Primo Ministro, mi sia consentito esporre un paio di considerazioni che, seppure possano apparire marginali, rappresentano comunque un elemento di rilievo rispetto al fenomeno di assuefazione che sembra aver colpito i cittadini italiani.
Il caso Nicole Minetti, innanzitutto. L’aspirante maîtresse che, a quanto è dato sapere, spende tutto il proprio tempo per soddisfare le squallide esigenze e i singolari capricci del suo capo, ricopre il ruolo istituzionale di consigliere regionale in Lombardia e, come tale, è sontuosamente retribuita con denaro pubblico. La sua occupazione abituale – procacciare ragazze  – le avrà di sicuro impedito di dedicarsi, con il necessario impegno, all’esame e allo studio approfondito dei provvedimenti legislativi lombardi  nonché di occuparsi di tutte le altre incombenze connesse all’importante incarico di deputato regionale.
Gli avvocati Ghedini & Longo, entrambi parlamentari e riccamente stipendiati con risorse collettive, da anni seguono a tempo pieno le infinite vicende giudiziarie di Berlusconi. Inoltre, i due legali hanno contribuito con un certo successo all’ideazione, alla modifica e all’approvazione di leggi di proposito calibrate sulla persona del Presidente del Consiglio allo scopo di garantirgli una impunità di fatto.
Queste semplici e quasi secondarie valutazioni avrebbero scatenato, in qualsiasi paese normale, la rabbia e l’indignazione popolare. Ciò invece non è accaduto.
Riflettiamo.

sabato 29 gennaio 2011

IL GENIO DELLA CAFFETTIERA


Ti alzi presto, anche se è domenica. Sei ancora assonnato e ti trascini a fatica in cucina. Vuoi preparare la caffettiera ma, con sgomento, ti accorgi di avere finito il caffè. Poi ti ricordi di quella busta, che hai riposto chissà dove nella dispensa. Ti agiti e ti affanni finché non la ritrovi. Ti è stata regalata tempo fa, da chissà chi, e di sicuro la magica polvere bruna sarà un po’ stantia, pensi, o forse no, speri. Tanto non hai scelta. Miscela brasiliana purissima, c’è scritto sulla confezione. Accendi il fuoco e aspetti.
Perché le partite di calcio, le tue, devono essere disputate proprio al mattino, ti domandi? È un’ingiustizia, consideri con amarezza. D’altra parte sei solo un dilettante, uno che gioca per pura passione e non puoi esigere orari più nobili,  perché quelli si accompagnano a ben altri palcoscenici.
Come calciatore non sei granché. La tecnica non ti manca del tutto, e hai una buona visione di gioco, però sei del tutto privo di velocità di esecuzione. Insomma, sai che cosa dovresti fare ma non riesci a eseguirlo. Slow Foot, ti chiamano i tuoi compagni quando ti prendono in giro. Piede Lento, quello è il tuo soprannome.
La caffettiera ti distoglie dai tuoi pensieri. Borbotta, dalla sua bocca esce un filo di fumo che all’improvviso si trasforma in una piccola nube di vapore. La guardi, sorpreso. Poi vedi che, all’interno di quella nebbia profumata, aromatica, prende forma una figura che ti è familiare. Si tratta di un calciatore, ha la pelle scura e indossa una maglietta gialla con i bordi verdi. Non hai neppure il tempo di meravigliarti che quell’entità dalle sembianze sfuggenti e indefinite ti rivolge la parola. Ma tu hai già capito e la interrompi.
“Il primo desiderio…”
“No.”
Sei un po’ contrariato.
“Perché no?”
“Mi dispiace, ma io sono un genio minore.”
“Che cosa vuol dire?”
“Posso esaudire un solo desiderio, e tocca a me stabilire quale.”
“Qual è?”
“Vedrai.”
Ma non succede nulla e dopo qualche istante il genio sparisce. Ancora frastornato, riempi la borsa e ti precipiti al campo di calcio. E la partita è un trionfo. Giochi come non hai mai fatto in tutta la tua vita. Passaggi incredibili, serpentine ubriacanti, tiri formidabili, reti da sogno. I tuoi compagni ma soprattutto i tuoi avversari sono sbalorditi. Sei diventato, da un momento all’altro, un vero campione. Torni a casa e ancora non ci credi. Sei entusiasta di te stesso, immagini una luminosa carriera. Allora mangi e poi ti godi un meritato caffè. Di nuovo quello del genio che, rifletti, tanto minore non era, dopotutto. Perché ti ha portato fortuna e ti cambierà la vita. Ti sorprendi quando quell’entità si materializza di nuovo. Lo guardi e ti rendi conto con sorpresa che non è più lo stesso. Adesso distingui, tra i fumi, una figura diversa, femminile. La pelle è ambrata, il seno generoso, ammiri i suoi fianchi sinuosi. Sembra una ballerina di samba. Non parli, vorresti scappare ma ormai è troppo tardi.
Da quel giorno è passato un po’ di tempo. E quel caffè l’hai buttato, anche se ormai il danno era fatto. Non giochi più a calcio, pure se ti sei trasferito nella patria del pallone, il Brasile.
Da qualche anno, ormai, vivi a Rio, e sei diventato molto famoso. Sei il Re del carnevale.
Anzi… la Regina.



giovedì 27 gennaio 2011

MR. POSTERIORE SGONFIO



Sappiamo, ormai da tanto tempo, che è un personaggio ambiguo, con un falso e ingannevole sorriso sempre stampato sul volto. Sappiamo che le sue fortune finanziarie hanno origini torbide. Sappiamo che i suoi capelli sono finti e pitturati, che la pelle del suo viso è di plastica e che cammina su tacchi vertiginosi, ma di questo non ci importa nulla. Sappiamo che ha introdotto e diffuso modelli di vita devastanti, che ha rovinato l’immagine e il decoro di un intero Paese, il suo. E il nostro. Sappiamo che la sua corte è formata da servi prezzolati e pronti a tutto, e da falsi amici che lo tradiscono. Sappiamo che è un corruttore. Sappiamo che è un concussore, che ha cercato di piegare la volontà di pubblici funzionari ai suoi loschi interessi personali. Sappiamo che è un anziano satiro depravato, che organizza festini mantenendo, pagando e tenendo in pugno decine di ragazze, alcune tra le quali minorenni. Che affida alle stesse ragazze, per sbarazzarsi di loro quando siano venute a noia, prestigiosi incarichi istituzionali retribuiti con pubbliche risorse. Quelle ragazze che lo temono e lo ricattano. Che non esitano a definirlo vecchio, imbruttito e con il culo flaccido, e che frequentano trafficanti di cocaina. Sappiamo che è un mentitore spudorato.
Che cosa vogliamo ancora sapere?

mercoledì 26 gennaio 2011

CACCIA GROSSA



L’uomo salì sul bus, che a quell’ora non era molto affollato, e si sedette accanto al finestrino. Subito dopo vide una donna corpulenta accomodarsi al suo fianco, sul lato opposto del corridoio. Le lanciò un’occhiata in apparenza distratta poi, appena il mezzo si avviò, si perse nei propri pensieri. Ben presto, come sempre gli accadeva, alla realtà si sostituirono i ricordi. Tornò con la mente alle propria infanzia, a quando ancora era felice e viveva, spensierato, tra le montagne. Pensò a suo padre. Lo rivide: una figura alta, possente, nella sua tenuta da cacciatore. Rammentò con precisione la sua giubba dalle mille tasche, gli spessi pantaloni di fustagno, il pesante berretto di lana e gli alti stivaloni di cuoio. Il fucile sulla sua spalla. Ritrovò se stesso bambino. Come dimenticare quelle albe gelide, senza luce, quando entrambi, il padre orgoglioso e il figlio devoto si avviavano, a passo sostenuto, per andare tra monti e valli? A volte, quando la battuta di caccia si prolungava, pernottavano in qualche capanno, assaporando con gusto il silenzio e la calda e cameratesca atmosfera di intimità. E che dire dei loro ritorni a casa trionfali, quando a stento riuscivano a camminare sotto il peso delle numerose prede abbattute?
L’uomo, all’improvviso, si riscosse e tornò al presente. Volse il capo e sorrise tra sé. Poi infilò la mano nella giacca ed estrasse una grossa pistola. La puntò contro la donna ed esplose due colpi, in rapida successione, scatenando una reazione di panico sul bus. Si alzò e si avvicinò alla sventurata. Appurò di averla colpita, con grande precisione, solo alla testa. Bene, considerò, la voluminosa pelliccia che la donna indossava non si era per nulla rovinata. Proprio come gli aveva insegnato suo padre.   

domenica 23 gennaio 2011

GENERAZIONI



“Che hai da guardare?”
“Niente… sei tutta arrugginita!”
“Beh? È perché sono anziana.”
“Che cosa vuol dire anziana?”
“Vuol dire che scorro da tanto tempo, ma tu questo dovresti saperlo.”
“Nessuno me l’ha mai detto.”
“Voi giovani…”
“Allora una volta eri lucida? Proprio come me?”
“Sì, ero bella, il mio colore era fiammante e le cromature brillavano al sole.”
“Che cosa sono le cromature?”
“Già, tu non ne hai. Tutta quella plastica…”
“A me piace correre.”
“Come dici?”
“Adoro andare veloce e superare le altre.”
“Devi stare attenta.”
“Perché?”
“Perché può essere pericoloso, molto pericoloso.”
“Che cosa mi potrebbe accadere?”
“Potresti non tornare più.”
“Cioè?”
“Così è capitato alla mia amica.”
“Racconta, per favore.”
“È trascorso ormai molto tempo, ma per me si tratta di un dolore ancora ben vivo, e faccio fatica a parlarne.”
“Ti prego…”
“Lei era come te, giovane e incosciente. Quel giorno andò a fare un viaggio, con il suo padrone, e non tornò più.”
“Non la rivedesti più?”
“Sì, in realtà la rividi.”
“E allora?”
“Quasi non la riconobbi. Era completamente cambiata, non aveva più forma. E non scorreva più. I suoi cavi erano inanimati, nei suoi manicotti non circolava più niente.”
“E poi?”
“La sua carcassa fu portata in quel luogo desolato. Io c’ero.”
“Tu?”
“Sì, perché il suo padrone era anche il mio.”
“E lui cosa fece?”
“Nulla. Sostò un attimo in una sorta di raccoglimento. Forse la ringraziò per essere ancora vivo. Mi piace pensare che sia andata così.”
“È terribile.”
“Sì, lo é.”
“Dove sei stata?”
“Eh?”
“Hai fatto tanti viaggi?”
“Certo. Tante volte ho visto il mare e la sabbia ha irritato i miei ingranaggi. Ho attraversato le montagne, anche se adesso percorrere le salite mi costa tanta fatica. Sai…”
“Che cosa?”
“Devo confessarti una cosa.”
“Dimmi.”
“Al mattino, a volte non parto più.”
“Non capisco…”
“Intendo dire che non mi avvio subito. Insomma… bisogna insistere più volte. Hai capito, adesso? Dirlo mi imbarazza.”
“Sì, ho capito. Deve essere tremendo. E il tuo padrone, che cosa fa?”
“Ma… a volte è paziente. Altre volte invece no e minaccia di sostituirmi.”
“Che cosa brutta!”
“No, è giusto che sia così.”
“Dici? A me ciò che racconti fa paura.”
“Non devi avere paura. La nostra esistenza è così, dobbiamo accettarla.”
“Sì, adesso però devo andare, sta arrivando la mia padrona.”
“Addio, e buon vento. Mi raccomando, non correre troppo…”


giovedì 20 gennaio 2011

QUEL GIORNO



Sono convinto che, almeno fino a un certo istante, i miei ricordi siano precisi.
Quel giorno, appena uscito dall'ufficio, m’incamminai lungo la solita via. Non era tardi, ma era inverno, ed era già buio. Passai vicino a quel nuovo bar che avevano aperto da poco. Quel locale mi piaceva, anche se non ci avevo mai messo piede. Mi piaceva perché sapevo che, al suo interno, oltre che bere, ci si poteva fermare per leggere libri. Una bella trovata. Vidi che la saracinesca era quasi del tutto abbassata, e che la porta era socchiusa. Accanto, sul marciapiede, notai una pila di volumi. Erano tutti libri gialli tranne un testo di Thomas Mann che si trovava proprio in cima. Aveva la copertina bianca.  Mi fermai e qualcosa scattò in me, un impulso irrazionale e incontrollabile. In tutta la mia vita non avevo mai compiuto un gesto simile, lo giuro. Afferrai il libro e lo infilai nello zainetto. Nessuno mi aveva visto. Poi mi allontanai, rapido. Dopo poco più di venti metri tuttavia subentrò in me un pesante senso di colpa. Mi pentii. Allora tornai indietro. Adesso la strada era piuttosto affollata. Il mio problema era quello di restituire il volume senza essere notato. Alzai lo sguardo e m’imbattei in quello di un ragazzo che mi stava venendo incontro. Aveva la pelle scura, ma non troppo, era stempiato e portava i capelli molto corti. Rammento che i suoi occhi erano spalancati. Quando mi giunse vicino, mi premette con indifferenza la mano sul ventre. Percepii all'istante una specie di fastidio in quel punto, seguito subito dopo da una sensazione di freddo. Stupito e sconcertato notai appena il successivo e rapido movimento della sua mano verso la mia gola. Provai come un lieve solletico sotto il mento. 
Poi non ricordo altro.  
Comunque, è proprio quello il giorno in cui fui ucciso, senza sapere il perché.

martedì 18 gennaio 2011

MACELLERIA ITALIA



Nelle ultime vicende che vedono coinvolto - in una tragica farsa - il nostro demente Presidente del Consiglio è presente un elemento che suscita un sentimento di rabbia profonda in molti uomini.
Vale a dire: sembra quasi che le donne piacciano soltanto a lui. Almeno, questa è l'impressione che se ne ricava. Egli ignora - o finge di ignorare - che tutti i maschi eterosessuali sono invece naturalmente attratti dalle donne. Ciò inteso in maniera normale, sana, senza costrizioni, scambi, ricatti o mercimoni di sorta.
La verità è che a lui, in realtà, non piacciono veramente le donne, ma solamente parti anatomiche di esse. Alcuni tagli, per essere precisi.
L'ormai del tutto ottenebrato Primo Ministro, sempre più preda di malsane turbe senili, dimostra di non sapere che una donna è qualcosa di più che un corpo. Di non rendersi conto che, soprattutto, si tratta di esseri umani... in carne e ossa. Persone che, come tali, possiedono determinate e specifiche complessità e non soltanto semplici involucri da utilizzare a suo piacimento.
"Mezzo chilo di bollito, grazie. Per favore, che sia tenero" chiede la massaia al macellaio di fiducia.
"Un culo e due tette. Mi raccomando, che tutto sia fresco e ben sodo" ordina Berlusconi a Lele Mora.
Dice bene don Luigi Ciotti: non è più tempo per l'indignazione. In tutti noi deve subentrare un profondo e definitivo disgusto.

lunedì 17 gennaio 2011

IL TAGLIANDO VINCENTE



Guardò il tagliando, incredulo. Aveva vinto. Lo guardò di nuovo, ma non c’erano dubbi, l’unico vincitore era lui. E si trattava di un’incredibile somma di denaro. Sorrise, pensando che quella era stata la prima giocata della sua vita. La gioia tuttavia durò poco, perché subito prevalsero i timori. E la diffidenza.
M. viveva da solo, quindi non c’era pericolo che qualcuno sapesse, nell’immediato, della fortuna che gli era capitata. In ogni caso, spense il televisore. Per un attimo aveva avuto l’impressione che il giornalista sullo schermo avesse smesso di parlare e avesse tentato di sbirciare il suo tagliando vincente. Allo stesso modo, chiuse tutte le finestre e strappò il filo del telefono. Per sua buona sorte non possedeva un cellulare; in quel caso avrebbe corso un enorme rischio, anche se non sapeva realmente dire il perché.
M. non considerò eccessive – o peggio, maniacali – tali precauzioni. La settimana prima aveva assistito a un servizio del telegiornale nel quale si spiegava come la criminalità organizzata desse una vera e propria caccia ai vincitori di lotterie o di altri concorsi con ingenti montepremi. Non voleva correre rischi.
Il problema successivo fu quello di nascondere il tagliando. Ci pensò per parecchio tempo, poi riuscì a escogitare una brillante soluzione. Subito dopo, ben camuffato – occhiali scuri, un grosso cappello, bavero alzato – uscì e si diresse verso una cabina telefonica, una delle poche che erano rimaste. Chiamò il suo collega Carlo, e gli annunciò che dal giorno seguente non si sarebbe più recato al lavoro, che pensasse lui a tutte le pratiche per il licenziamento. Non volle fornire alcuna spiegazione e l’altro, seppure sbalordito, acconsentì. A quel punto decise che sarebbe stato troppo rischioso ritornare a casa, anzi, decise che non ci sarebbe andato più. Prima di trovare una camera in un albergo, si fermò – per l’ultima volta – al solito bar per un aperitivo. Poi fece una sosta in bagno dove, vinto dallo stress, si addormentò sulla tazza e si svegliò dopo quasi due ore. Uscì e, dopo una rapida sosta in libreria, andò direttamente in hotel.
Chiuso in camera, M. iniziò a sfogliare l’atlante geografico che aveva appena acquistato. Aveva deciso di partire, si trattava soltanto di scegliere la destinazione adatta. Il fatto è che lui non aveva mai viaggiato, neppure il più piccolo spostamento e quindi, pensando a treni, aerei, navi e fusi orari fu assalito dal panico. Alla fine, escluse quella soluzione e decise che il sistema migliore consisteva nel mimetizzarsi. Avrebbe finto di essere un clochard e in tal modo sarebbe di sicuro passato inosservato.
Il mattino dopo lasciò l’albergo e cominciò a vivere nei pressi della stazione, dove c’erano anche altri senzatetto. Camminava in quei pressi quasi tutto giorno, spostandosi di continuo per non offrire precisi punti di riferimento. Soltanto la notte osava fermarsi, per dormire sotto un porticato, su qualche panchina oppure nell’atrio della stazione quando il clima divenne più rigido.
L’aspetto fisico di M. era mutato profondamente. I capelli, cespugliosi, erano sporchi, la barba lunga e arricciata. Sul suo viso c’era sempre una patina scura. Alcune volte gli era capitato di scorgere delle persone che conosceva – persino un ex-collega - ma nessuna di queste lo aveva riconosciuto, anche per via dei suoi abiti luridi e strappati in più punti.
M. condusse per mesi quella misera esistenza poi, prostrato dal freddo e dalla fame, crollò.
Fino a quel momento non si era ancora arrischiato a incassare il tagliando vincente. Aveva sempre avuto paura di essere osservato, pedinato e spiato da qualcuno. Alla fine, indebolito nel corpo e nella mente, si convinse che, in ogni caso, non sarebbe sfuggito alle grinfie delle organizzazioni criminali. Non aveva retto, non si era dimostrato all’altezza. Decise così di salvare almeno la propria vita.
Tuttavia, faticò a costituirsi. Per molti giorni frequentò i bassifondi della città, le zone più malfamate e piene dei peggiori delinquenti. Finalmente, quando ormai non ci sperava più, arrivò l’aggancio giusto.
Lo condussero in un grande capannone dismesso. Di notte. Quando gli tolsero il cappuccio, si trovò di fronte un uomo distinto, che indossava un elegante completo bianco.
“Sei stato abile” disse, e subito dopo allungò una mano, con il palmo rivolto verso l’alto.
M. comprese. Strappò dall’interno delle mutande la bustina di plastica che conteneva il tagliando vincente e la consegnò, rassegnato. Non provava neppure paura. Non più.
“Molto abile” proseguì l’uomo in bianco. “Appena abbiamo saputo della vincita, ci siamo subito attivati. Abbiamo messo sotto controllo il tuo telefono, ma tu non l’hai mai usato. Ho mandato Geppo – e indicò uno dei due energumeni che l’avevano accompagnato in quel posto – sotto casa tua, ma tu eri già uscito, per non farvi mai più ritorno. Giorgione – e indicò l’altro – invece è stato più fortunato: ti ha visto entrare al tuo solito bar. Ma sei sfuggito pure a lui. Ha aspettato a lungo, ma tu non sei uscito dalla porta principale, vero? Avevi dei complici? Hai utilizzato un’uscita secondaria? In ogni modo, l’hai scampata. Che cosa ci rimaneva da fare, a quel punto? Abbiamo setacciato, per giorni e giorni, stazioni, porti, aeroporti e agenzie di viaggio ma non siamo riusciti a scovarti. Allora abbiamo provato con gli alberghi ma, a parte la traccia di un tuo breve passaggio, non siamo approdati a nulla. Inutili anche i lunghi appostamenti sotto al tuo luogo di lavoro. Ti sei licenziato, vero?”
L’uomo, il criminale, sospirò. Poi riprese.
“In pratica, caro M., l’avevi fatta franca.”
M. strabuzzò gli occhi.
“Volete dire che non mi avreste mai trovato?”
“Esatto. Se tu avessi saputo questo, adesso saresti un uomo molto ricco, pieno di problemi e di angoscia. La tua vita trasformata in un vero inferno. Quello che hai passato negli ultimi tempi non è nulla in confronto a ciò che ti attendeva. Per fortuna ti sei pentito. Giura che non giocherai mai più, che non correrai mai più un rischio simile.”
“Avete ragione, è davvero terribile essere ricchi. Preferisco tornare a essere povero. Grazie.”

venerdì 14 gennaio 2011

FUGA DA ALCATRAZ


Jack aveva progettato a lungo la fuga, e adesso tutto era pronto. Ancora poche ore e poi avrebbe finalmente assaporato la libertà. Il giorno prima aveva ultimato di scavare il tunnel. Era stata una fatica tremenda, un impegno che si era protratto per mesi.
Quella sera stessa, dopo la distribuzione del pasto, si sarebbe inoltrato per l’ultima volta lungo quel budello umido, e avrebbe abbattuto l’ultimo diaframma di terra che lo separava… da che cosa? Ormai non lo sapeva più. Da troppo tempo – da sempre, gli sembrava – era prigioniero e i suoi ricordi erano come frantumati e dissolti.
Scese la notte, senza luna, proprio come aveva sperato. Attorno a lui, poco alla volta, i rumori si attenuarono, fino a scomparire del tutto. Nelle altre celle i suoi sventurati compagni di cattività dormivano. Purtroppo non poteva aiutarli, tuttavia sapeva che nessuno di loro l’avrebbe tradito. Nessuno avrebbe parlato.
Giunse il momento adatto. Spostò il suo giaciglio e si incuneò nello stretto condotto. Strisciò per parecchio tempo, lentamente, respirando con difficoltà. Arrivato al termine, scavò in maniera frenetica per alcuni minuti e finalmente sbucò all’aria aperta, oltre la recinzione. Era stravolto, ma non poteva fermarsi a riposare, doveva allontanarsi in fretta. Ebbe appena il tempo di fiutare l’aria: percepì un odore differente da quello che aveva sempre sentito fino a quel momento. Poi si mise a correre. Vagò a lungo, tra le strade deserte. Non provava né fame né sete. Quando ritenne di essersi allontanato a sufficienza dalla prigione, cominciò a guardarsi attorno e si dedicò alla ricerca di un luogo adatto per poter riposare un po’.
Si avvicinò a una casa e vide che tutte le luci erano spente. Accanto all’abitazione sorgeva un piccolo capanno. Notò che la porta era socchiusa. Reso sconsiderato dalla crescente spossatezza, entrò. In un angolo scorse alcune vecchie coperte e vi si distese sopra. Si addormentò all’istante.
Al mattino, quando si svegliò, trovò una piacevole sorpresa. Poco lontano dal suo letto di fortuna vide, adagiati su un tovagliolo pulito, del pane e alcuna fette di prosciutto. E dell’acqua. I sogni della notte si erano trasformati in realtà. Oppure non erano stati sogni?
In ogni caso, mangiò con grande appetito, poi stabilì che era tempo di abbandonare quel posto, che pure si era rivelato piuttosto confortevole. Doveva proseguire la sua disperata fuga.
Invece, con suo grande stupore, non si mosse. Anzi, quasi senza rendersene conto, si addormentò di nuovo.
Dopo un po’ fu svegliato di soprassalto da alcune voci. Qualcuno era entrato nel capanno, chiudendosi poi la porta alle spalle. Era in trappola! La sua evasione era durata ben poco. Rassegnato, rimase immobile e aprì soltanto gli occhi.
“Eccolo, vedi? Mamma, possiamo tenerlo?”
Un lungo sospiro, un sorriso.
“D’accordo, in fondo era ciò che volevi…”
Non sappiamo come ma Jack comprese quelle pacate parole. E allora fece una cosa che non aveva mai fatto in tutta la sua vita. Balzò in piedi e cominciò a scodinzolare. Poi abbaiò di gioia.

IL MOSTRO



Parafrasando Goya: "Il sonno di una nazione genera mostri".
E noi il mostro lo possediamo. Lo abbiamo creato, lo abbiamo alimentato a dismisura, e ora non siamo più in grado di disfarcene. Le sue sembianze da vecchio Golem ci sono ben note: basso di statura, calvo, anziano e orrendamente pitturato. Vive ad Arcore, in una grande villa e spadroneggia su di un intero paese. Ci ha riempiti di fango, una mota densa che non riusciamo a scrollarci di dosso. Gli altri, quelli delle nazioni normali, ci dileggiano, ci deridono, ci sbeffeggiano e, soprattutto, ci compatiscono. Noi quasi non ce ne accorgiamo. Abbiamo smarrito la decenza, non possediamo più la capacità di indignarci, siamo annientati. Nonostante tutto ciò, alcuni ancora lo sostengono - tanti, troppi - altri lo servono in maniera fedele, ricavandone vergognose prebende, qualcuno addirittura lo adora in maniera sacrilega.
La realtà stessa è di continuo negata, ribaltata, piegata alle convenienze personali. La menzogna spadroneggia, sempre impunita e assunta quale modello virtuoso.
Lui, il mostro, ancora una volta è sotto la lente della magistratura, quel potere di uno stato democratico che egli stesso, per primo, non riconosce e anzi accusa di inseguire disegni politici, persecutori.
Le ultime accuse sono pesanti, ignobili: concussione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione - risultano coinvolte minori - possibili imputazioni che fanno inorridire, che marchierebbero per sempre un qualsiasi comune cittadino.
Lui, invece, anche stavolta forse se la caverà. Entreranno in azione legulei prezzolati, si invocheranno congiure e complotti, si cercherà in tutti modi leciti e illeciti di minimizzare, di sminuire. Ci saranno vigorose smentite, sdegnate sconfessioni.
Sì, può darsi che se la caverà, il mostro, e rimarrà al suo posto a turbare il nostro vivere, ad accrescere la nostra impotenza, a fomentare le divisioni, a irriderci con la sua immensa protervia, con la sua arroganza smisurata. 
Noi, al contrario, ce la caveremo?

martedì 11 gennaio 2011

LA SENTINELLA


Supponi di non essere fatto di carne e sangue, ma di un’altra materia.
E di possedere una statura minuta. Di dover sempre rispettare gli ordini del tuo generale, persino quando quei comandi ti sembrano insensati. E allora ti ritrovi lì, su quella stretta piattaforma sospesa nel vuoto, a montare la guardia. Sei solo, in piedi sul tuo piccolo piedistallo, immobile. Hai obbedito, come sempre, perché non hai altra scelta. Davanzale, così il tuo comandante ha chiamato quel luogo sinistro. Dietro di te c’è un enorme vetro, di fronte il nulla. Scende la notte, ma tu non hai paura. Un soldato non può avere paura. Le tenebre ti avvolgono, i rumori si attutiscono, fin quasi a sparire. Ti preoccupi quando un grosso uccello si posa proprio accanto a te. Lo riconosci, è un piccione. Il suo becco è appuntito, i suoi occhi cattivi. Cerchi di farti ancora più piccolo, fingi distacco, finché non se ne va. Allora sospiri, sollevato. Ma le insidie non sono terminate. D’un tratto inizia a cadere la pioggia. All’inizio, non ti preoccupi, la tua postazione è abbastanza riparata. Poi, il temporale aumenta d’intensità. Adesso spira un vento insidioso, le raffiche violente compromettono la tua precaria stabilità. Cerchi di resistere, pensi che prima o dopo diminuiranno. Ma cosi non è. All’improvviso ti senti sollevare e poi volteggi nell'aria, per poi ricadere giù. La caduta è lunga e lenta e sembra non finire mai. Però sei leggero e non temi l’impatto, sei certo di sopravvivere. E ti ritrovi con la schiena a terra, e sai che non riuscirai a rialzarti. Non senza aiuto. Quel territorio ti è sconosciuto, di sicuro è pieno di insidie e di pericoli. Dov’è il tuo generale? Dorme. La minaccia si materializza subito con le sembianze di un grosso animale. Ora sei angosciato, sai che la tua fine è vicina. Ti annusa a lungo, poi spalanca le fauci e ti inghiotte, ti mastica e ti risputa. Per iniziare da capo, subito dopo, l’orripilante operazione. Fino a quando non si stufa e ti abbandona, in quella terra di nessuno.
Giunge l’alba e tu avverti che il tuo generale si è finalmente accorto di te, della tua figura senza forma che giace tra la ghiaia del cortile.
Tuttavia lui non piange la tua morte, ormai prossima, ma fa i capricci perché vuole un soldatino nuovo.
Ancora più forte è il tuo dolore.

domenica 9 gennaio 2011

IL CACCIATORE



“Non dormi?”
“Mamma, perché non mi racconti la storia del lupo e del cacciatore?”
“Sei sicuro che poi non avrai gli incubi? No? D’accordo, come vuoi tu.”

C’era una volta un cacciatore di pellicce.
Tutti gli anni, all’inizio dell’estate, partiva verso il nord, verso la terra di ghiaccio, alla ricerca di animali da uccidere e da scuoiare e tornava a casa soltanto al termine dell’autunno, poco prima dell’arrivo del grande freddo.
Quell’anno la sua caccia era stata molto abbondante, anche se l’uomo era stato costretto a fermarsi qualche giorno più del solito. Ormai il freddo era arrivato, e un vento gelido soffiava sulla sterminata pianura di ghiaccio.
Il cacciatore, stanco, camminava lentamente, trascinando dietro di sé la pesante slitta ricoperta di pellicce, il frutto del suo lavoro. Siccome era quasi buio, si fermò e andò alla ricerca di un posto adatto per accamparsi. Procedeva con cautela sulla sottile lastra di ghiaccio quando, all’improvviso, accadde ciò che più temeva. Il ghiaccio si ruppe e l’uomo precipitò nell’acqua gelata. Per un attimo annaspò, in preda al panico, poi riuscì ad aggrapparsi sul bordo e, con grande fatica, poté così issarsi in superficie. Si rese conto, immediatamente, che non c’era tempo da perdere. Rischiava di morire assiderato nel giro di pochi minuti. Allora, prima che i suoi pesanti indumenti si irrigidissero, si spogliò completamente. Quindi cercò di tornare verso la slitta, ma le forze lo abbandonarono. Cadde, in preda a un tremito convulso.
Poco distante, un grosso lupo grigio aveva assistito a tutta la scena. Osservò l’uomo, disteso sul ghiaccio, e ne percepì l’odore, invitante. Una facile preda. Invece di balzare sul cacciatore, come l’istinto e la fame gli suggerivano, il lupo iniziò a ululare, sempre più forte. In un baleno, dai dintorni, si materializzarono decine e decine di animali, tutti ricoperti di folte e candide pellicce: ermellini, visoni, volpi, martore e lupi, molti altri lupi. Tutte le bestiole si diressero, correndo, verso la slitta. Ognuna di loro afferrò con i denti, denti piccoli e aguzzi o maestose zanne, una pelliccia e la trascinò sull’uomo, che ormai aveva perso i sensi. Infine, alcuni di loro, i più piccoli, si insinuarono sotto il corpo del cacciatore, per riscaldarlo, e vi rimasero fino al mattino.
Quando l’uomo si svegliò, si rese conto di quanto era accaduto. Appena avvertirono i suoi movimenti, gli animali, uno alla volta, si allontanarono, compresi i lupi che si erano distesi su di lui per proteggergli il capo. Il cacciatore si strinse nelle pellicce, che ancora conservavano il tepore di tutte quelle creature che gli avevano salvato la vita. I suoi occhi si inumidirono. Ancor prima di accendere il fuoco per preparare una bevanda calda, il cacciatore andò alla slitta, afferrò il fucile per la canna e lo scagliò lontano sui ghiacci.
L’uomo riuscì a tornare a casa, e raccontò a tutti i suoi simili quel prodigio. Da allora, nessun essere umano sparò più a un animale.

“Bella! Domani me la racconti di nuovo?”
“Sì, però adesso devi dormire.”
La grossa lupa grigia diede la buonanotte al suo cucciolo e poi si distese accanto a lui.

mercoledì 5 gennaio 2011

LA VERTENZA


La vecchia signora bussò, con le sue nocche ossute, poi entrò nell'ufficio. L'uomo seduto dietro alla grande scrivania le fece cenno di accomodarsi. Prima di iniziare a parlare, però, si accese un sigaro, con gesti lenti e studiati. In capo a qualche istante, l'intera stanza si riempì di un fumo denso e acre.
"Allora, cara signora, mi dica tutto."
"Ho bisogno dell'aiuto della vostra organizzazione."
"Che genere di aiuto?"
"Ho necessità di acquisire una maggiore visibilità."
L'uomo strabuzzò gli occhi e il fumo del sigaro gli andò di traverso.
"Come? Guardi che la nostra è un'associazione di natura sindacale! Per le sue esigenze dovrebbe rivolgersi a qualche agenzia di promozione dell'immagine, oppure provare con la televisione..."
"So benissimo di cosa vi occupate. Il fatto è che avrei intenzione di intraprendere una vertenza per..."
L'uomo la interruppe alzando un braccio.
"Alt! Adesso ci siamo. Se si tratta di questo, siamo in grado di fornirle tutta l'assistenza possibile. Le chiediamo soltanto una cosa: l'iscrizione al nostro sindacato. Per una modica cifra annuale, eventualmente rateizzabile sullo stipendio, potrà disporre di tutti i nostri servizi."
La vecchia signora lo guardò, sbalordita.
"Ma io non ho uno stipendio!"
"Ah! Ho capito. Lavoratrice autonoma, vero?"
"In un certo senso... e comunque non dispongo di denaro. Nel caso, potrei pagare in natura."
"Signora!"
"Che cosa ha capito? Mi riferivo a dolci, frutta secca, oppure carbone, se preferisce."
L'uomo si passò una mano sul ventre prominente.
"Vada per i dolciumi... ma il carbone! Non sarebbe possibile, in alternativa, avere dei buoni-carburante?"
"Vedrò cosa potrò fare. Sa, sono piuttosto povera."
"Ci credo, signora mia. Noto come il suo vestito sia parecchio malandato. E quel cappello! E' completamente fuori moda! Mi creda, non voglio essere scortese, tuttavia mi permetta una domanda. Non sarebbe il caso di pensare alla pensione? Per i lavoratori a riposo sono previste particolari agevolazioni..."
"Non ho alcuna intenzione di ritirarmi dalla mia attività!"
"Bene, come non detto. In ogni caso, sono lieto di darle il benvenuto tra i nostri associati."
L'uomo scorse rapidamente con gli occhi alcuni elenchi.
"Mmm... vedo che nel suo comparto abbiamo già altri iscritti."
La vecchia signora sobbalzò sulla sedia.
"Comparto? Altri iscritti? E chi sarebbero?"
"Mmm... per esempio questa signora Morgana, per caso la conosce? Oppure la signora Nimue..."
"Ma quelle sono streghe!"
L'uomo, di botto, impallidì.
"Mi scusi, ma..."
"Non mi riconosce?"
"Mi creda, sono davvero mortificato. Sa, l'abito scuro... quella scopa... ho accomunato..."
"Mi dica se lei, da bambino, credeva alla Befana."
L'uomo la guardò, imbarazzato.
"Sì, ci credevo, anche se non l'ho mai vista."
"E adesso, ci crede?"
"Adesso... sono un po' confuso. Perché non parliamo della vertenza?"
"D'accordo, sono venuta qui per questo."
"Bene. Qual è il suo obiettivo? Che cosa intende rivendicare?"
"Ho intenzione di oppormi a lui, il grande prevaricatore."
"Lui chi, scusi?"
"Ma... Babbo Natale! A proposito, lei ha mai afferrato la differenza tra lui e Gesù Bambino?"
"In verità, no."
"Neppure io. Allora, le stavo dicendo che sono stufa di essere messa in ombra da quell'energumeno. Da tanto tempo, da sempre, è lui che monopolizza le feste. A me non restano che le briciole."
L'uomo, pensieroso, scarabocchiò qualcosa su un foglietto.
"Prosegua, la prego."
"In realtà ho già finito, e ora aspetto un consiglio. La vostra organizzazione ha la possibilità di aiutarmi?"
L'uomo riprese in mano gli elenchi.
"Sì, credo proprio di sì. Le sue motivazioni sono più che legittime. Non le nascondo che potrà essere una controversia piuttosto difficile, tuttavia sono ottimista, abbiamo ottime probabilità di spuntarla. Dunque, vediamo un po'... questo Babbo Natale risulta aderire a un sindacato nostro concorrente, se così si può dire..."
"Cioè?"
L'uomo la guardò con espressione furba.
"E' inutile che perda tempo in complesse spiegazioni. Diciamo, per semplificare, che loro ci devono un grosso favore."
"Ho capito, non aggiunga altro."
"Oltretutto, vedo che questo suo... antagonista è un lavoratore dipendente."
"Un dipendente? Sul serio?"
"Sì, lavora per una grande azienda. Molto grande. Ed è inquadrato con la qualifica di direttore-capo. Sì, un vero pezzo grosso, ma ciò non dovrebbe costituire un particolare problema. Ritengo che sarà sufficiente esercitare un po' di pressione su chi so io e tutto dovrebbe sistemarsi."
"Quale sarà la soluzione che proporrete?"
"Un semplice spostamento. D'ora in poi, il Natale si festeggerà il 6 gennaio, mentre la sua festa sarà anticipata a dicembre."
L'uomo sorrise, soddisfatto.
"Ma si rende conto di tutte le implicazioni di una cosa simile? Si ricordi che a quelle date sono legati valori simbolici millenari!"
"Lo so. L'Epifania rappresenta la visita dei Magi, giusto? Vuol dire che dal prossimo anno il bambinello nascerà a gennaio; poi, per tutto l'anno, lei, mia cara signora, e i Magi vagherete per il mondo finché, a dicembre, troverete finalmente Gesù e gli porgerete i vostri omaggi e, oltre a lui, porterete doni a tutti gli altri bambini. Che ne dice, fila?"
"Mi pare di sì."
"Bene, allora non si preoccupi e lasci fare a noi."
"Grazie. Adesso però devo proprio andare, stasera lavoro.Quando potrò sapere qualcosa di certo?"
"Direi tra qualche mese. Comunque, non mancheremo di farci sentire appena avremo delle novità. Mi raccomando, abbia fiducia e, soprattutto, non si scordi i buoni-carburante!"




martedì 4 gennaio 2011

COSE


Fino a quel giorno, tutto aveva sempre funzionato. Almeno, questo era quanto lui credeva. E invece non era così. Evidentemente c'era stato un momento - ma quando, esattamente? - in cui aveva perso il controllo della situazione; tutto era precipitato, senza che lui si accorgesse di nulla - come era mai stato possibile? - e ora sembrava difficile porvi rimedio.
Eppure, fin dall'inizio, fin da quando aveva occupato quel piccolo ma grazioso appartamento - erano ormai trascorsi più di vent'anni - aveva sempre prestato la massima attenzione alla contabilità delle cose.
Tutto era stato fatto in maniera accurata, come da manuale: aveva provveduto a calcolare il volume dei vari ambienti - quei pochi, per la verità - e, subito dopo, aveva stimato, con estrema precisione, il volume dei mobili, degli arredi e di tutti gli oggetti che avrebbero riempito quei locali. Per ultimo aveva aggiunto il proprio ingombro fisico, quest'ultimo indicato con un'approssimazione, in più e in meno, del dieci per cento. Si sa, nel corso dell'esistenza, un corpo umano può ingrassare o dimagrire, ed è necessario tenerne conto. Alla fine, il risultato era stato sorprendente. L'uomo aveva scoperto di disporre ancora di una quantità di spazio vuoto - al netto di tutto, s'intende - piuttosto rilevante. E proprio questa piacevole constatazione lo aveva, all'epoca, molto rassicurato anche se, con tutta probabilità, era pure ciò che aveva contribuito di più a ridurlo all'attuale condizione.
Lui aveva sempre amato gli oggetti. Tutti, senza alcuna distinzione. Elettrodomestici e piccoli utensili da cucina, tappeti, vestiti, credenze, divani e poltrone, bottiglie e suppellettili varie, di qualsiasi forma e dimensione. Nel corso della sua vita, di tali cose ne aveva raccolte tante. E che dire della sua predilezione per i libri? Vecchi volumi, testi scolastici, anonimi tascabili; e poi riviste, giornali e pubblicazioni di ogni genere.
Consapevole della sua passione, aveva sempre prestato grande attenzione al conto delle cose, a quel bilancio che non deve mai essere in attivo, ma al limite può pareggiare. Per meglio chiarire: se un nuovo oggetto entra in una casa, un altro - di pari o maggiore volume - deve necessariamente uscire. Non esiste alternativa a questa - solo in apparenza - semplice regola. Nessuna deroga è consentita, il suo rispetto è essenziale. E vitale.
Con il passare del tempo l'uomo era invecchiato e aveva allentato quei controlli che, invece, erano indispensabili per garantire e assicurare il rispetto dei principi di quel singolare bilancio. Forse si era semplicemente distratto.
E adesso era lì, nel suo appartamento, e cercava con lo sguardo il suo grosso libro contabile, quello sul quale aveva sempre - o quasi sempre? - registrato entrate e uscite di cose. Voleva rendersi conto di ciò che aveva sbagliato, di ciò che, in tutta evidenza, aveva omesso di annotare. Ma, come detto, era ormai troppo tardi.
Circondato, completamente racchiuso da compatte e invalicabili pareti di oggetti, l'uomo non poteva più muoversi.

lunedì 3 gennaio 2011

ORDINE!


Vi siete mai chiesto per quale motivo esistano, all'interno del genere umano, persone che possiedono uno spiccato senso dell'ordine - mentale e materiale - opposte ad altre la cui natura è invece del tutto difforme da tale modello ritenuto, a torto o a ragione, e con le dovute eccezioni, più virtuoso? Sia chiaro, non ho la pretesa di voler dirimere questa eterna e complessa questione, mi limito a proporre qualche considerazione personale.
All'inizio era il caos! Non spaventatevi, quando parlo di inizio mi riferisco a tanto tempo fa, quando ancora non c'era nulla - e nessuno - e tutto stava per essere plasmato (o riordinato?). In ogni modo, qualcuno si assunse quel gravoso compito. Chiamatelo come volete, Essere Superiore o semplicemente Caso - non ha importanza, per ora - fatto sta che l'impresa gli riuscì. Da uno stato di indefinita confusione si passò a una condizione di quiete e tranquillità. Insomma, inutile negarlo, fu fatto ordine, cose e creature furono sistemate ognuna al proprio posto.
Supponiamo che voi preferiate immaginare che l'artefice di tale opera sia stato chi prima ho definito come Essere Superiore. D'accordo, nessuno di noi se lo figura nella mente nell'atto di rimettere ordine, di rassettare; la sua azione è stata di sicuro più fantasiosa, più... creativa, tuttavia siamo concordi nel riconoscere quell'atto come positivo, buono. Con la comparsa dell'ordine, quindi, è prevalso il Bene, e ciò ci permette di affermare che il guazzabuglio originale tratteggiasse il Male, o comunque qualcosa di molto simile. Dunque, adottando questa elaborazione, è ovvio dedurre che gli individui dotati del senso dell'ordine rappresentino il Bene, mentre gli altri - applicando il concetto del dualismo perpetuo - siano da ritenersi sotto l'influsso di forze maligne.
Se, al contrario, ci allontaniamo da analisi oltremodo trascendentali e ipotizziamo il processo della creazione, il Grande Riordino, quale frutto di elementi casuali, il discorso acquista maggiore levità. Sostenendo tale ipotesi, si può asserire che la condizione di ordine e di disordine, applicata ai singoli soggetti, assume minore rilevanza poiché scaturita da un processo di natura accidentale. In base a ciò, di conseguenza, tutti possono essere assolti: chi è ordinato e chi è solo d'ordine, chi è organizzato e chi è afflitto da turbe maniacali, chi è razionale e chi è dissociato - cioè ordinato in un luogo e disordinato in un altro - chi è disordinato nei pensieri, nell'esistenza, ma tiene il piano della scrivania sempre perfettamente sgombro...
Lo ammetto, questa teoria può apparire, a prima vista, un po' azzardata, addirittura strampalata. Tuttavia - e mi rivolgo a tutti voi, individui ordinati e disordinati - avete per caso qualche spiegazione più convincente?
Comunque, sappiate che per me è così. Perché ne sono così certo? E perchè no?

domenica 2 gennaio 2011

LO SCHIAFFO


Un vero e proprio schiaffo. Un sonoro ceffone al nostro paese, la mancata concessione dell'estradizione del terrorista Cesare Battisti da parte del Brasile. Una decisione assunta dal presidente Lula proprio nell'ultimo giorno del suo mandato e, per questo, ancora più dolorosa, quasi beffarda. Le aspettative della diplomazia italiana erano, a tale riguardo, di tutt'altro genere, e la delusione è stata quindi enorme. Quali possono essere le motivazioni che hanno spinto l'ex operaio metalmeccanico e sindacalista, presidente del Brasile dal 2002, a sfidare, per così dire, un paese come l'Italia? Innanzitutto, sgombriamo il campo da qualsiasi equivoco circa la figura di Cesare Battisti. L'ex capo dei Proletari Armati per il Comunismo (Pac), che pure ha richiesto allo stato sudamericano rifugio politico, non è di certo un perseguitato; lo stato italiano lo ha perseguito per i suoi crimini (quattro omicidi) e, secondo giustizia, condannato all'ergastolo. E neppure possono essere addotte - come pure è stato fatto - motivazioni legate a eventuali rischi per la persona a giustificare la mancata estradizione del terrorista italiano. Oppure ridurre il tutto a un semplice calcolo politico da parte di Lula, vale a dire il tentativo di consolidare e tranquillizzare il suo tradizionale elettorato di sinistra. Tutte congetture improponibili. I veri motivi dello sgarbo (rafforzato dalla mancata diretta comunicazione della decisione, avvenuta invece attraverso i normali canali diplomatici) sono da ricercare nella debolezza e scarsa autorevolezza della diplomazia italiana, un trend negativo e preoccupante che è aumentato in modo costante negli ultimi anni. Le ambigue e continue strizzate d'occhio a paesi quali la Russia e la Libia, stati di dubbie o nulle tradizioni democratiche, hanno contribuito in maniera decisiva a determinare l'attuale stato delle nostre relazioni internazionali. La politica degli ammiccamenti e delle pacche sulle spalle si è rivelata, nella sua desolazione, perdente. Appaiono quindi tardive, nonché ammantate di patetismo, le azioni poste in atto dal nostro impresentabile ministro degli Esteri. L'appello alla neo-presidente Dilma Rousseff (creatura politica dello stesso Lula) a rivedere la risoluzione del suo predecessore, il richiamo per consultazioni del nostro ambasciatore a Brasilia e addirittura la minaccia del blocco di forniture militari (già sancite da trattati bilaterali) sono tutti atti tardivi, probabilmente inefficaci, che non faranno altro che accentuare ancora di più l'innegabile volubilità della nostra azione diplomatica nel mondo. Più concrete si presentano, al contrario, le speranze legate a una nuova pronuncia del Tribunale Supremo del Brasile, che potrebbe smentire la scelta del presidente Lula. Questa vicenda, tuttavia, deve costituire un serio monito per il nostro paese. E' giunto il tempo di innalzare il livello sul quale agisce l'azione diplomatica. Per fare ciò è indispensabile e urgente acquisire una nuova consapevolezza sul ruolo dell'Italia all'interno dello scacchiere mondiale. Un impegno arduo che difficilmente potrà essere affrontato e portato a termine con successo dall'attuale debole governo, sul quale pesano gravi responsabilità; colpe che hanno in gran parte contribuito a fissare questa condizione di percepibile e inconfutabile impotenza diplomatica. Il cambiamento non è più differibile.