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venerdì 31 dicembre 2010

HABITAT


Sembra ieri, invece sono ormai trascorsi molti anni. Fu così che lo vidi, la prima volta...
Proprio in fondo, lungo l'intera parete, c'è un armadio con alti sopralzi. Lo si può scalare per mezzo di una fragile e sbilenca scaletta. Il suo ventre è ingombro di cartacce e batuffoli di polvere. A lato, troneggia un termosifone antico, ricoperto di vernice marrone ormai scrostata. Poi, un armadio a muro, mesto ricettacolo di vetusto ciarpame: pezzi di ferro contorti, vecchie scarpe, un fornellino elettrico, salme di macchine da calcolo obsolete, stracci, tanti stracci sporchi.
Il soffitto, molto alto, nobile, è del tutto annerito. Le pareti, dipinte di giallo scuro, sono cupe e opprimenti.
Sul pavimento, le mattonelle di linoleum, sbrecciate, rilasciano con pazienza un insidioso pulviscolo.
Scaffali, scaffaletti, tavoli, tavolini, "tavolinetti": incolpevoli presenze di legno e di metallo; muti e sgomenti testimoni di noiosi eventi, testimoni del nulla.
Dall'alto, file di lampade al neon trafiggono l'ambiente con la loro luce bianca e crudele.
I vetri alle finestre sono opachi, caliginosi; le veneziane, in parte afflosciate, ricordano enormi, decrepite palpebre socchiuse e cadenti. E poi carta, carta, carta. Ovunque fogli, risme, registri, agende, tabulati, cartelle, faldoni e raccoglitori. E pure blasfemi rotoli di carta igienica. 
I telefoni sulle scrivanie sono come grossi scarafaggi grigi.

mercoledì 29 dicembre 2010

MESSAGGI


Ti annoi. E allora, senza pensarci, accendi il computer. Apri Facebook e digiti un nome. In realtà, di Facebook pensi tutto il male possibile. A che serve? A nulla, rispondi. Che ti importa di link dozzinali postati quasi a caso da quasi sconosciuti? Niente. E delle foto delle vacanze di supposti “amici”? Ancora di meno. Ma sorvoli, colpevole nell’intimo, su queste pur sagge considerazioni e prosegui, premendo un tasto. A sorpresa appare un’immagine, ed è proprio quella che cercavi. Sì, è lei. L’hai riconosciuta subito, anche se la fotografia, l’unica, è un po’ sfuocata. Lei è invecchiata, ma non più di tanto. D’altra parte, che ti aspettavi? Sono passati quasi venticinque anni. E dunque armeggi con la tastiera, fai ciò che devi fare. Poi, quasi subito, te ne scordi. Grande è la sorpresa, alcuni giorni dopo, quando ricevi il messaggio. Lo leggi, distratto, e poi lo rileggi, con maggiore attenzione. Per dare maggiore consistenza a quelle parole, lo stampi, infili il foglio in un cassetto e ti riprometti di rispondere. Domani, senz’altro. Che dice? Parla della sua vita, del suo lavoro, dei suoi figli, perché adesso ha due figli. Elenca i suoi attuali interessi, che poi sono gli stessi di una volta: i libri, la musica, i viaggi. Mentre rifletti su quelle parole, su quei pensieri cordiali ma freddi, passano i giorni, giorni pesanti perché si sommano agli anni. Ogni tanto pensi di fare la stessa cosa, di parlare di te, di ciò che hai fatto, ma i tuoi proponimenti non prendono forma, e tantomeno generano parole. Non trovi nulla di interessante da dire, nulla che non sia banale e che valga la pena di essere espresso. Passa altro tempo, il foglio è dimenticato in fondo a quel cassetto. Ti rendi conto che non risponderai mai.

lunedì 27 dicembre 2010

E ADESSO, POVER'UOMO?


E' senza alcun dubbio il peggior ministro del peggior governo della nostra povera Repubblica. Sul suo glabro capo pende, ormai da tempo, una mozione individuale di sfiducia in merito alla quale il Parlamento si dovrà tra breve esprimere. E l'esito finale non è affatto scontato. Sussurri e grida (silenti) fanno pensare che il malcapitato non riuscirà a sfuggire, come accaduto ad altri suoi illustri colleghi, al lavacro di indegnità sancito dal voto dei nostri più o meno onorevoli rappresentanti. E sarà dunque marchiato, proprio lui, il Poeta del Nulla, con il timbro dell'indegnità, dell'incapacità assoluta. In quel caso, a nulla saranno servite le sue invocazioni, le sue accorate preghiere rivolte addirittura agli odiati rivali della Sinistra, agli ex-comunisti, ai suoi antichi compagni di militanza politica. Perchè il povero Bondi si trova in una situazione così tragica, così drammatica? Il primo passo falso è stato Pompei. D'accordo, quelle case erano vecchie e decrepite, come lui stesso ha affermato, dopotutto avevano quasi duemila anni! Un vero miracolo che non fossero crollate prima! E invece è toccato a lui, l'incolpevole, subire le conseguenze del passare del tempo. Sfortuna? Può darsi. In ogni caso si sa che l'incuria e la cattiva gestione di un bene ne accentuano e ne accelerano i patimenti strutturali. Inoltre, se non si può imputare al ministro-poeta una responsabilità diretta, esiste comunque una innegabile responsabilità oggettiva, squisitamente politica. In tali circostanze è giusto e onesto trarre le dovute conseguenze. Ma questo è solo l'inizio. Il buon Bondi è stato capace di entrare in conflitto con l'intero mondo della cultura del nostro paese. Non è riuscito infatti - nonostante le titaniche lotte in Consiglio dei Ministri, dice sempre lui - a far scucire al perfido amico-nemico Tremonti un solo centesimo in più per artisti e intellettuali. O per i nostri sofferenti monumenti. Al contrario, il suo ministero è stato falcidiato dai tagli "lineari" imposti dal potente collega. Purtroppo il (presunto) impegno non è sufficiente: in questi casi la dignità impone le dimissioni. E che dire delle incredibili e inverosimili assunzioni indotte e favorite da Bondi nel proprio ministero? L'ex marito dell'attuale compagna, il figlio della stessa... Casi umani, li ha definiti, quando il vero caso umano è lui. Davvero un brutto periodo, per Bondi, tanto che l'altro giorno in Parlamento ha perso addirittura la testa. Ha negato di aver votato al posto di un collega assente mentre il filmato della sua virtuosa esibizione pianistica ormai scorreva da ore sull'intera rete. Dopo tutto ciò, pare che il ministro stia finalmente valutando l'ipotesi delle dimissioni, da rassegnare prima dell'eventuale voto di sfiducia. Pentimento improvviso? Tardiva consapevolezza delle proprie disastrose azioni? No, si tratta di semplice realpolitik, non certo sua ma praticata dal suo capo, il Despota di Arcore. Un esito sfavorevole della votazione a scapito di Bondi-don Abbondio finirebbe con l'indebolire ancora di più un Governo che si regge appena su una manciata di consensi, acquisiti tra l'altro in maniera oscura. La conseguenza sarà quindi la probabile richiesta al fedelissimo di immolarsi per la causa. Proprio ciò che il ministro aspettava: l'invocazione a sottoporsi al sacrificio estremo e alla quale siamo sicuri risponderà come sempre, tacendo e ubbidendo. In fondo, nulla di più che l'avverarsi del suo grande sogno: il martirio politico.

FANTASMI DAL PASSATO


Li vedi apparire proprio in questi giorni, tra una festa e l’altra, ma non sono sempre gli stessi. Cambiano, da un anno all’altro cambiano. Perché qualcuno di loro non può, qualcun altro si è stufato, altri ancora non ci sono più. E poi ci sono quelli nuovi, quelli che vengono per la prima volta. Tutti, però, hanno qualcosa in comune. Li incontri nei corridoi, quei lunghi corridoi che hanno percorso migliaia di volte - per una vita intera - per entrare, per uscire, per portare a spasso un foglio di carta oppure per andare a prendere un caffè. Eppure adesso cogli i loro timori, la paura di non essere più riconosciuti, e quella di non riconoscere. Li guardi bene e ti accorgi che sono cambiati. Prima, quando li vedevi tutti i giorni, invece non invecchiavano mai. Bussano timorosi alle porte, le porte delle loro vecchie stanze, e prima di entrare indugiano, circospetti. Sospettano che, all’interno, nulla sia come prima, che tutto sia diverso. In realtà temono che dentro non ci sia nessuno, nessuno che possa scambiare con loro due parole, nessuno di quelli che loro hanno conosciuto – in un tempo che sembra molto lontano – e con i quali hanno condiviso esperienze di lavoro e di vita. Li senti pronunciare sempre le stesse frasi, domandarti sempre le stesse cose. Allora li rassicuri: il lavoro è sempre peggio, l’ambiente sempre più invivibile, il capo – uno nuovo, certo – sempre più perfido. Finalmente li vedi sorridere, e quello è il momento più triste. Poi pensi: io non farò mai una cosa del genere. Ma in realtà non sei sincero, sai di mentire a te stesso. E alla fine li saluti, scambi con loro gli auguri e li vedi allontanarsi a capo chino, ormai impazienti di lasciare quel luogo che non ha più nulla di familiare. E provi una grande tenerezza.

sabato 25 dicembre 2010

CAPOLINEA


L’uomo chiuse accuratamente la porta del proprio appartamento. Scese attraverso le scale e uscì in strada. Si guardò attorno. Si sentiva un po’ frastornato, ma poi si avviò con passo rapido e deciso. Un isolato, non di più, e giunse alla fermata del bus. Attese per alcuni minuti, poi vide sopraggiungere il mezzo. Salì. Il bus era completamente vuoto. L’uomo ne fu sorpreso. Scosse il capo, incredulo, poi si sedette. Dopo alcuni istanti, colto da una strana inquietudine, si alzò e cambiò posto. Si collocò nella sua posizione preferita, che raramente riusciva a occupare. Quella sopraelevata, subito dietro al conducente. L’uomo era un viaggiatore corretto e responsabile, esemplare. Non ingombrava mai i passaggi, non disturbava gli altri passeggeri e cedeva sempre il posto a donne e anziani. Cercò di rilassarsi e aprì il libro. Durante i suoi tragitti sui mezzi pubblici, nel corso degli anni, aveva letto centinaia di libri. Quel giorno, però, non riusciva a concentrarsi. Notò che le fermate si susseguivano, ma nessun altro passeggero saliva a bordo. Si alzò nuovamente e si avvicinò all’autista. Lo guardò. E gli sembrò teso. Aveva lo sguardo fisso sulla strada, la fronte corrugata e imperlata da minuscole gocce di sudore. Decise di rivolgergli la parola, anche se ciò era contrario alle sue convinzioni, per chiedere un’informazione. Era stato assalito da un legittimo dubbio.
“Mi scusi. Mi scusi se la disturbo. Questo mezzo è in regolare servizio?” domandò con un filo di voce.
“In servizio? Certo che lo è! E’ al suo completo servizio!” rispose nervosamente il giovane guidatore senza voltare il capo.
L’uomo rimase un po’ stupito da quella risposta. Borbottò qualcosa tra sé e ritornò al suo posto.
Il tragitto verso il centro della città era piuttosto lungo.
L’ennesima fermata. Stavolta salirono a bordo del bus due persone. Indossavano una specie di divisa. Li riconobbe. I controllori!  Tutte le volte, quando gli era richiesto di esibire il documento di viaggio, l’uomo era colto da ansia e agitazione. E quella volta non fece eccezione. Oltretutto, continuava a essere l’unico passeggero sul mezzo. Tale pensiero lo scombussolò ancora di più. Cominciò a frugare in modo frenetico nella tasca dei pantaloni, cercando di estrarre il portafoglio che naturalmente non ne voleva sapere di uscire. Era rimasto incastrato. Divenne paonazzo in volto e cominciò a sudare. I due uomini si avvicinarono e gli sorrisero, rassicuranti. Anche se, in realtà, i loro visi mascheravano a stento turbamento e inquietudine.
“Signore! Lasci stare. Va bene così. Non si preoccupi! Tutto a posto! Non vogliamo vedere nulla!” disse il più anziano.
Mentre l’uomo finalmente si tranquillizzava i due si diressero verso l’autista. Parlottarono un po’ con lui, a voce molto bassa. Non fu possibile cogliere nulla di quella conversazione. I controllori, adesso con un’espressione ancora più seria, quasi contrita, scesero alla fermata successiva. E il viaggio proseguì. L’uomo non era riuscito a leggere una sola riga. Non gli era mai successo. Persino quando il bus era strapieno, nelle ore di punta, era in grado di divorare avidamente qualche pagina. Stando in piedi, incurante di spinte, scossoni e brusche frenate.
Finalmente, il mezzo giunse al capolinea. Durante tutto il rimanente tratto di percorso, nessun altro passeggero era salito a bordo. Un qualcosa d’incredibile!
L’uomo ripose con cura il libro nella sua logora valigetta di pelle. Sospirò. Vide che le porte erano già aperte. Si alzò dal suo posto, fece due passi e poi stramazzò bocconi sul pavimento del bus, senza un lamento. E non si mosse più. L’autista, che aveva assistito alla tragica scena, non sembrava sorpreso più di tanto, anche se le sue mani tremavano. E le gambe pure. Se ne accorse solo quando scese dal veicolo.

Al capolinea si è rapidamente formato un capannello di persone. Il conducente del bus è avvicinato da un anziano collega.
“Ti era mai successo in precedenza?” chiede, premuroso.
“No, mai” risponde il giovane, “è la prima volta”. Adesso appare stravolto e pallido.
“Quando te ne sei accorto?”
“All’inizio non ho capito, poi ho visto che alle fermate la gente era numerosa. Ma nessuno saliva e allora ne ho avuto la certezza”.
“Su, coraggio” dice l’altro affibbiandogli un’amichevole pacca sulla spalla, “per lui è stato un ultimo viaggio molto sereno”. E indica l’uomo, disteso esanime sul pianale del veicolo.
“Forse …” risponde il giovane autista, perplesso e con lo sguardo perso nel vuoto.
Arriva l’ambulanza. Procede lentamente. E la sirena è spenta.